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Richiesta di Milano proprio quando si indaga sui legami tra Serravalle e Unipol...

Al setaccio i legami finanziari. Sulla rete di Penati: "C'è un fronte comune per ostacolare l'indagine"

Andrea Tempestini
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Date, causali di versamento, linee di credito: lo scandalo partito da Sesto San Giovanni pare davvero arrivato - via Penati e Serravalle - alle soglie di quel misterioso intrigo politico-finanziario ch'è stato il tentativo di scalata della Banca Nazionale del Lavoro da parte dell'Unipol. Un'operazione orchestrata nel 2005 da Giovanni Consorte, quand'ancora era considerato un “campione della causa” dal partitone progressista - allora si chiamavano Ds -, e che però chiamò a raccolta molte forze che a quella parte politica di fatto s'appoggiavano. In ogni caso, i magistrati di Monza - con la decisiva collaborazione della Guardia di Finanza - stanno scavando. D'altronde che il gruppo Gavio, dopo aver ceduto alla Provincia di Milano guidata da Filippo Penati - ora indagato per corruzione - il 15 per cento di azioni della Milano Serravalle ottenendone un guadagno di 179 milioni, abbia poi appoggiato la Unipol, acquisendo per 40,9 milioni lo 0,5 per cento di azioni Bnl e mettendole a disposizione di Consorte, ecco, questo è un fatto. E certo non di per sé illecito. Ma ci sono poi i movimenti di denaro delle tre società di Gavio che fisicamente incassarono dalla Provincia i proventi della vendita delle azioni  - Satap, Salt, Astm - e altri istituti finanziari, come i 14 milioni  alla Popolare di Lodi allora di Gianpiero Fiorani, anch'essa all'epoca al fianco di Consorte, e i 31 alla banca di Roma. Allo stato attuale non esiste traccia di passaggio diretto - nel senso, di soldi entrati dalla vendita delle azioni e poi usciti direttamente verso Unipol. E in Procura si fa presente come sia possibile che, fra il gruppo Gavio e quelle banche, esistessero linee di credito già attive prima di quell'estate 2005 - per dire, quei milioni potrebbero rappresentare il saldo di debiti pregressi. Resta il fatto che gli inquirenti sono al lavoro anche su questo fronte, seguendo l'itinerario seguito  dal denaro pagato dalla Provincia al gruppo Gavio, visto che l'ipotesi è che nascondesse anche tangenti. Per il resto, il tassello che potrebbe risultare decisivo nella ricostruzione di questo sistema di corruttela diffusa che, secondo i pm, coinvolgeva Penati e funzionari e assessori progressisti, ecco, potrebbe essere quello rappresentato da eventuali conti esteri su cui potrebbero essere stati depositati dallo stesso Penati - o da chi per lui - i soldi delle tangenti.Per questo il pm Walter Mapelli aveva inoltrato rogatorie in Svizzera. Soprattutto in relazione al pagamento effettuato - a suo dire - da Piero Di Caterina, imprenditore ora grande accusatore, a Giordano Vimercati, all'epoca strettissimo collaboratore di Penati. All'appello, rispetto alla ricostruzione, mancano 400mila euro. Le carte sono attese a ore. E sarà invece lunga l'attesa per conoscere il parere del Riesame sulla richiesta d'arresto per Penati e Vimercati, la cui bocciatura da parte del gip ha provocato il ricorso degli stessi pm. Il pronunciamento è atteso per metà ottobre. In ogni caso, nell'integrazione alla richiesta d'arresto, i magistrati parlano di «una rete di soggetti i quali, in forza di legami di vario tipo (professionali, affettivi, politici) si cercano e si battono in fronte comune per ostacolare il regolare e ordinato svolgimento dell'indagine», indicando una serie di circostanze che confermano le «sistematiche relazioni tra indagati per la predisposizione, in incontri riservati, di ricostruzioni concertate e artificiali dei fatti oggetto dell'inchiesta». Per quanto riguarda il versante più strettamente sestese dell'indagine, ieri in Procura è stata sentita Raffaella Pacinotti, amministratrice della società Getraco, finanziaria di Lugano da cui sarebbero transitati i soldi incassati illecitamente da Marco Magni, l'architetto  in carcere insieme con l'ex assessore Pasqualino Di Leva. La Getraco è coinvolta anche nell'inchiesta riguardante l'area Milano Santa Giulia, sempre per la presunta creazione di fondi nascosti al fisco. di Laura Marinaro e Andrea Scaglia

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