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Intercettazioni, così Napolitano manda Berlusconi a processo

Il Capo dello Stato spinge Silvio verso i pm. Idea di un decreto per una stretta su parole rubate nasce e muore subito

Andrea Tempestini
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Sono le 8 di sera quando Niccolò Ghedini riesce finalmente a conferire con Silvio Berlusconi. È stata una giornata  molto intensa, quella del presidente del Consiglio, e non è ancora finita. Il Cavaliere ha appena partecipato al voto finale sulla manovra, esce dall'Aula e prima di presiedere il consiglio dei ministri (che per l'occasione si tiene a Montecitorio: i membri del governo sono tutti qui), ritaglia un tot del proprio tempo per il legale di fiducia. "E' UNA TRAPPOLA" C'è da decidere se testimoniare o meno davanti ai pm napoletani che indagano sulle presunte estorsioni del duo Tarantini-Lavitola. Berlusconi ha zero voglia. In mattinata, sempre alla Camera,  ha esposto le sue ragioni ai deputati azzurri che si sono avvicinati per salutarlo: «E cosa dovrei andare dire? È una inchiesta del tutto inventata, sbagliata. Non c'è stata nessuna estorsione. Ho fatto solo beneficenza a una famiglia in difficoltà. Dov'è il reato?». Fiato. «Io aiuto tutti quelli che hanno bisogno, sono fatto così. Poi non è che vado a raccontarlo in giro...». Ora allarga un sorriso. Di sarcasmo: «Ma adesso è finita, sono rimasto senza contanti, ho dato tutti i miei soldi al vero capo del Partito democratico». La sentenza Cir e i 600 milioni di euro ceduti a De Benedetti a titolo di risarcimento ancora bruciano, evidentemente. Ma qui il discorso è un altro: andare allo scontro con la procura di Napoli o trovare una forma di mediazione? Silvio tentenna. Fosse per lui, li avrebbe già mandati al diavolo («Sono magistrati che cercano solo le prime pagine dei giornali, mi vogliono tendere una trappola»), ma in mattinata Napolitano, incontrato insieme a Gianni Letta, ha invitato alla leale collaborazione tra istituzioni. Di fatto, gli ha detto: vai a testimoniare. Allora Berlusconi lascia che sia Ghedini a trattare con il procuratore capo Lepore  tutte le garanzie del caso per prestarsi al colloquio: «La decisione è correlata anche ai comportamenti della Procura», precisa l'avvocato.  Silvio non si fida e prende tempo: «Il 19 saremo a Milano per il processo Mills», informa Ghedini, anche se pare che il premier abbia deciso di rimettere in piedi la trasferta a New York. Il capo del governo aveva scartato l'ipotesi di un viaggio oltreoceano (c'è la conferenza straordinaria Onu  sulla Libia) per tenere sott'occhio la difficile congiuntura dell'economia italiana. Poi invece. Pertanto, in funzione degli impegni istituzionali del premier, potrebbe slittare la testimonianza. Povero Ghedini: il fatto è che non è facile trattare l'argomento con Berlusconi, il serbatoio di pazienza dell'uomo di Arcore è in rosso fisso. Gli parli di toghe e lui si innervosisce subito. «Sono 17 anni  che vengo perseguitato da certi giudici che usano la giustizia in maniera illegittima». Silvio ai suoi interlocutori esibisce un cerotto sul naso. Alza bandiera bianca: «Dubito che riusciremo a varare la riforma della giustizia. Qui alla Camera ci sono la Bongiorno e Fini che ci ostacolano. In ogni caso, mi impegnerò a essere più presente a Montecitorio, faremo altri consigli dei ministri qui». "ARRIVANO IN NOVE" E se la riforma complessiva dell'ordinamento giudiziario sembra sfumare, Berlusconi non transige sulle intercettazioni: «La legge va fatta assolutamente». Silvio è sotto attacco, nel mirino di tre procure diverse: Milano, Napoli e Bari. Sono in arrivo paginate di telefonate trascritte. Le sue. «È una porcata indegna, in quale Paese civile una persona si trova pubblicate le proprie telefonate private sui giornali?». Scegliendo parole più adatte all'interlocutore, Berlusconi ha avuto modo di lamentarsi del funzionamento della giustizia anche con l'inquilino del Quirinale. Napolitano? Si sa che il Presidente della Repubblica è contrario all'abuso dello strumento investigativo e alla pubblicazione delle intercettazioni che non attengono ai reati contestati. Però si sa pure cosa ne pensa il Colle a proposito di un intervento sulla materia con un decreto d'urgenza: non se ne parla proprio. Eppure ieri Berlusconi è tornato a spolverare la  vecchia idea, resa attuale dall'imminente pubblicazione della madre di tutti gli sputtanamenti, l'inchiesta barese su Tarantini e le escort. Nel giro di poche ore l'idea di un blitz prende corpo e muore: in serata alla Camera è convocato il consiglio dei ministri per il rinnovo del capo di stato maggiore della Difesa. Situazione giusta, orario ideale per piazzare, fuori sacco, un decreto dal contenuto esplosivo. Durante il pomeriggio Silvio convoca il Guardasigilli Nitto Palma a Palazzo Grazioli. Si ragiona intorno a un testo molto simile alla bozza Mastella, quando Clemente sedeva a via Arenula: distruzione delle intercettazioni non rilevanti. È l'opzione della decretazione d'urgenza che fa saltare tutto: troppo hard, le colombe riescono a convincere il Cavaliere. Che accetta a malincuore: «La prima legge che gli italiani vogliono è quella sulle intercettazioni», cita l'ultimo sondaggio durante la riunione dei ministri, «perché l'87% dei cittadini è intercettato». Pazienza. Berlusconi prova a tirarsi su il morale in altro modo: «Arriveranno altri nove deputati a rinforzare la maggioranza, nomineremo nuovi sottosegretari. Faremo le riforme del fisco e dell'architettura istituzionale. Tranquilli: nel 2013 rivinceremo le elezioni». Lui ci crede. di Salvatore Dama

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