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La Fallaci e i veleni in famiglia Sorella: "Non era anti Islam"

A 5 anni dalla scomparsa della grande Oriana. Paola: "Non era una crociata, provo pena e vergogna per come la ricordano"

Giulio Bucchi
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Anche per la sua morte, avvenuta il 15 settembre 2006, aveva lasciato precise istruzioni: abbigliamento con cui essere sepolta, forma, posizione (vicino agli amati genitori)  e caratteristiche della lapide (quella che porta scritto: «Oriana Fallaci, scrittore»). E tra le tante cose che aveva previsto, assieme all'invasione islamica e alla resa dell'Occidente, c'erano pure i litigi in famiglia dopo la sua scomparsa: «Litigano anche quando sono morta», pare abbia commentato.   In effetti, il battibecco tra parenti sembra non avere fine. Ieri, intervistata dall'AdnKronos in occasione dell'anniversario, la 73enne sorella Paola ha spiegato che «cinque anni dopo la scomparsa di Oriana  non c'è solo il dispiacere per la sua perdita ma anche un forte senso di pena per come viene trattata la sua memoria. Non mi piace il personaggio Oriana che è venuto fuori dopo la sua morte. Oriana non era affatto una specie di crociata cristiana contro l'islam, come viene unicamente presentata. Oggi i suoi grandi meriti di giornalista e scrittrice non le sono riconosciuti». E ancora: «C'è un  clima di grande finzione, tutti sono stati suoi amici, tutti hanno qualcosa da raccontare su di lei. Basta che uno sia stato segretario di Oriana per un paio di giorni per sentirsi in dovere di scrivere un libro di 200 pagine. Che pena! Per capire Oriana occorreva una vita, non certo una settimana». Sostiene di temere «nuove strumentalizzazioni»; s'arrabbia con Firenze: «La sua città natale si è sempre comportata male verso di lei. Nemmeno una strada le ha dedicato». Contesta, più in generale, il trattamento della sua memoria: «È amaro constatare che la grande Oriana Fallaci non abbia ottenuto nulla nella considerazione dei posteri di quello che lei desiderava. Mia sorella ebbe anche una grande intuizione sull'islam, sul senso di pericolo legato a un certo mondo musulmano, ma certo non le sarebbe piaciuto il modo in cui sarebbe stata dipinta oggi». Dunque Paola non parteciperà a nessuna commemorazione,  ha deciso che domani ricorderà la sorella «nella cappella di famiglia nella nostra casa di Greve in Chianti, dove deporrò una candela e un mazzo di fiori, delle bellissime rose rosa, che lei tanto amava». Si tratta dell'ultimo strascico di una querelle che dura da anni e che oppone Paola a suo figlio, anzi «ex figlio» Edoardo Perazzi, nipote di Oriana e unico erede. A luglio, l'ennesimo scontro sull'eredità, con un esposto alla Procura di Firenze presentato da Paola, secondo cui sul testamento ci sarebbe una firma falsa. «Tutto falso, sono fantasie.  Quel testamento è stato firmato a New York, davanti a testimoni, avvocati e a una corte», si difese Edoardo. Il documento è poi stato pubblicato da Panorama, ma sullo scrupolo con cui Perazzi si è occupato del patrimonio della zia ci sono pochi dubbi. Del resto, lei gli aveva dato indicazioni precisissime su che cosa far uscire, per esempio il romanzo postumo Un cappello pieno di ciliege. Proprio all'uscita di quel libro scattarono le prime accuse da parte della sorella. In un'intervista a Vanity Fair, disse che «non doveva essere pubblicato» poiché la stesura non era ultimata. Soprattutto poi non doveva pubblicarlo Rizzoli, editore che Oriana non sopportava più e con cui i rapporti erano ormai agli sgoccioli. Seguirono altre interviste, in cui Paola arrivò a dire che sua sorella era «morta per eutanasia». «Tornò a Firenze per morire, era uno scheletro, in barella», spiegò. «Soffriva molto e ha chiesto un'iniezione di morfina, sapendo benissimo che non si sarebbe più risvegliata. Lo sapevano anche alla clinica». Non vogliamo entrare nelle beghe famigliari, bastano i documenti. Sul fatto che la memoria di Oriana venga strumentalizzata, però, ci sia permesso chiosare. Vero, oggi si scoprono di continuo suoi amici postumi (negli ultimi tempi frequentava poche persone, tra cui Vittorio Feltri, Christiane Amanpour della Cnn, che appare anche nel documentario su di lei, proprio come Barbara Walters della Abc). Ma il lato di Oriana più trascurato  è proprio quello che riguarda l'islam. Nessuno l'ha mai dipinta come una crociata, anche perché fino alla fine è rimasta atea, pur apprezzando molto Papa Benedetto XVI. La sua era una battaglia in nome della libertà, iniziata decine di anni fa. In un'intervista del 1961, all'epoca di Il sesso inutile, raccontò che nei Paesi musulmani le donne erano «trattate come cammelli». Per le idee espresse in La Rabbia e l'Orgoglio e La Forza della Ragione affrontò processi, insulti, assalti spietati. Ma tirò dritto, a gridare che l'islam era un pericolo per l'Occidente. Il suo non era odio, tuttavia, bensì amore per la nostra cultura, la nostra arte. La nostra libertà, ancora. Quella sua lotta dolorosa è solitaria è esattamente ciò che si vuol dimenticare di lei. Nello spettacolo che le ha dedicato Monica Guerritore quest'estate, l'Oriana del post 11 settembre è presentata come una pazza. La pellicola su Un uomo sarà curata da Domenico Procacci e da un team di sceneggiatori tutti di sinistra. Nelle ristampe dei suoi libri da parte di Rizzoli sono sempre giornalisti progressisti a firmare le introduzioni.  Se un pericolo c'è, è che la sua ultima colossale impresa venga oscurata in nome di una correttezza politica che lei aveva sempre evitato e sconfitto. Continuino pure i litigi, gli scontri e le manipolazioni. Noi Oriana la vogliamo ricordare tutta intera: la cronista e reporter straordinaria che i suoi scritti stanno lì a celebrare; l'intervistatrice feroce; la donna sensibili di Un uomo e di Lettera a un bambino mai nato. E infine, la rabbia e l'orgoglio che l'accompagnarono. Come vere sorelle. di Francesco Borgonovo

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