"Non voglio un salvacondotto"
Berlusconi respinge la proposta dell'Udc: no alle dimissioni. "Sono l'unico che è in grado di affrontare la crisi. Vincerò un'altra volta"
«Non c'è nessuno con la mia esperienza, con le mie capacità, con le mie relazioni. Nes-su-no!». Silvio Berlusconi non intende cedere il testimone. Se non a Berlusconi Silvio. L'unica ipotesi realistica, che il Cavaliere può prendere in considerazione, è la staffetta con se stesso: piccolo maquillage alla squadra e ripartenza con il programma di governo. Ma nessun passo indietro. Guai: «Non c'è in Italia una personalità alla mia altezza in grado di affrontare la crisi economica». Ed è logico che, fino a quando il premier continuerà a considerarsi «la soluzione» e non «il problema», chiunque vada a proporgli «il passo indietro», tornerà a casa con le pive nel sacco. In privato Silvio dà il meglio di sé: «Ovvio che vorrei occuparmi d'altro, ma rimango per spirito di servizio, è un sacrificio per il bene del mio Paese». Dunque, non schioda da lì. Ieri era ad Arcore, consueto pranzo del lunedì con i figli e i vertici delle sue aziende. Con Silvio c'era anche Fedele Confalonieri. Il presidente di Mediaset è uno della ristretta cerchia (con Gianni Letta, scriveva l'altro giorno Repubblica), che pressa il Cavaliere perché valuti l'offerta dei centristi: il passo indietro in cambio di un salvacondotto giudiziario. «Ma no, ma no, ma chi si fida? Questi mi vogliono fregare. Io non ci casco», frena Berlusconi. Che erige un muro fatto di orgoglio («E chi ci mettono al posto mio?»), tendenza auto-assolutoria per le vicende personali («Alla fine io non ho fatto nulla di male») e vittimismo giudiziario («Avete visto cosa mi hanno combinato questi pm di sinistra?»). Insomma: finché il Cavaliere non percepisce di essere davvero in pericolo - lui e le sue aziende - non ha nessuna ragione al mondo per trattare una exit strategy dalla politica. «Vado avanti», giura. E dà una dritta ai suoi: «Attenti a dire che nel 2013 non mi candido: così facciamo il gioco della sinistra e delegittimiamo il governo», cioè lui. La speranza è che nei prossimi mesi il vento cambi: «Faremo le riforme che ci chiede la gente e rivinceremo le elezioni», lui ci crede. E punta tutto sulle riforme del fisco, della previdenza e sul taglio ai costi della politica (Province e dimezzamento dei parlamentari). Sulle pensioni, però, Berlusconi deve vincere la rigidità del Carroccio. Ieri, in un vertice a Monza, il ministro Tremonti ha provato a convincere Bossi. Ma il Senatur è stato irremovibile: «Non se ne parla. Almeno fino a Venezia», cioè alla consueta manifestazione annuale dell'orgoglio padano. «La verità è che sarebbe tutto più facile», sospira Berlusconi, se non dovesse avere a che fare quotidianamente con «quei giudici che mi vogliono distruggere». Bisogna «mettere un argine alle intercettazioni e farlo subito». E ieri il Cavaliere ha incassato con favore l'apertura di Casini sull'argomento: «Vediamo se fa sul serio». Nel frattempo Silvio trova il modo di seminare le toghe napoletane, attese oggi a Palazzo Chigi per l'inchiesta sulla presunta estorsione al premier: «Non intendo vederli, sono incompetenti», territorialmente s'intende. In giornata Berlusconi sarà a Strasburgo per un'operazione verità: «La sinistra racconta balle, spiegherò io la manovra». Nel consesso comunitario, però, la visita berlusconiana è attesa con freddezza: in Europa le improvvisate piacciono poco. Ma Silvio decolla lo stesso: il presidente dell'Europarlamento dice che ha solo due minuti per lui? «Vado per vedere il presidente della Commissione Ue Barroso», non Buzek, è la replica piccata. Ai suoi invece raccomanda il massimo della presenza alla Camera. Uno scivolone sul decreto anti-deficit o sul caso Milanese e allora sì che il governo rischia grosso. di Salvatore Dama