Rassegna stampa del pensiero Una settimana di quotidiani
Collage di riflessioni dei giornali italiani tra la lotta al terrorismo, la ridefinizione di società occidentale e le guerre di 'reazione'
I giorni che hanno preceduto il decimo anniversario dell'11 settembre sono stati un diluvio di speciali, analisi e commenti su quello che è stato uno degli eventi più sconvolgenti della nostra epoca, l'evento che "ha cambiato il mondo". Esattamente dieci anni fa, quattro aerei riuscirono a cambiare per sempre la storia americana e quella della cosiddetta società occidentale. Oggi è la giornata del ricordo, e Libero ha raccolto alcune delle riflessioni che hanno riempito le pagine dei giornali nell'ultima settimana. Tante firme illustri, da Gianni Riotta per La Stampa a Vittorio Zucconi per La Repubblica fino a Bernard-Henri Lévy per Il Corriere della Sera. La rassegna si apre con un estratto del discorso alla nazione del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e prosegue con le citazioni di articoli suddivisi per categorie. Perché anche il potere delle parole aiuta a non dimenticare. (…) Una delle cose che abbiamo detto ai nostri figli è che il peggior attacco terroristico della storia americana ha anche tirato fuori il meglio del nostro Paese (…) Gli autori di quegli attacchi volevano terrorizzarci, ma non possono nulla contro la nostra fermezza. Oggi il nostro Paese è più sicuro e i nostri nemici sono più deboli, ma anche se abbiamo fatto giustizia su Osama Bin Laden e anche se Al Qaeda ormai è avviata alla sconfitta, non dobbiamo mai esitare di fronte al compito di proteggere la nostra nazione (…) Infine, in un giorno in cui altri hanno cercato di dividerci, noi possiamo ritrovare quel sentimento di un obiettivo comune che risuonava nei nostri cuori dieci anni fa. Abbiamo di fronte sfide difficili come nazione, e dato che siamo cittadini di una società democratica discutiamo vivacemente del nostro futuro. Ma in queste discussioni non dobbiamo mai dimenticarci dell'insegnamento che abbiamo appreso nuovamente dieci anni fa, e cioè che le nostre divergenze non sono nulla di fronte a quello che ci unisce, e che quando scegliamo di muoverci uniti, come una sola famiglia americana, gli Stati Uniti non si limitano a subire, sono in grado di emergere dalle traversie e dalle difficoltà più forti di prima. Questa è l'America che siamo stati l'11 settembre e nei giorni che sono seguiti. Questa è l'America che possiamo e dobbiamo sempre essere. Barack Obama, 9 settembre 2011 LA LOTTA AL TERRORISMO Ci sono voluti quasi 10 anni esatti, da quel maledetto 11 settembre 2001, per togliere definitivamente dalla scena Osama BenLaden (…) Ma il vero epitaffio sul sogno criminale di un nuovo califfato, purificato a suon di stragi e sgozzamenti di qaedisti e dai loro emuli, è stato posto da quelle rivoluzioni che proprio nel corso del 2011 hanno dato luogo alla “Primavera Araba”, la più inattesa e sorprendente stagione politica che potevamo immaginare (…) Sono state le rivoluzioni arabe a conseguire quegli obiettivi che nessuna strage jahadista era mai riuscita ad assicurare: cambiare al leadership, rovesciare i regimi, ridare fiducia e protagonismo agli esclusi. Vittorio Emanuele Parsi, 4 settembre 2011, Avvenire Quel che sopravvive dell'Internazionale del terrore somiglia sempre più, agli occhi di coloro che bisognerebbe irreggimentare e sedurre, a quello che è sempre stata, ma in segreto: un'organizzazione criminale, una gang, che conta la maggior parte delle sue vittime fra i musulmani stessi e i cui padrini non hanno mai considerato l'Islam se non come un alibi, uno strumento di reclutamento e di potere, una copertura – si vergognino! (…) Non dico che la partita sia finita. Ma dico che cambia natura. Che esistono mezzi, e fin da ora, il coraggio di condurre una battaglia, un'operazione di polizia platanaria che dovrà isolare, ancora e ancora, gli ultimi focolai del terrore: con i moderati del mondo arabo-musulmano alleati con gli occidentali. Al Qaeda ha perso. Bernard-Henri Lévy, 8 settembre 2011, Il Corriere della Sera Una lezione chiave dell'11 settembre è che il potere militare è essenziale nella lotta a terroristi del calibro di Bin Laden, ma che il potere di persuasione delle idee e della legittimità è essenziale per conquistare i cuori e le menti delle popolazioni musulmane tradizionali da cui attinge Al Qaeda. Joseph S. Nye, 8 settembre 2011, La Stampa Il problema è che l'11 settembre è stato “venduto” come minaccia strategica per l'Occidente. Questo è falso e illogico. Gli attentati e perfino i mega attentati non mettono in pericolo nessun azione. Colpiscono duramente, provocano morti, feriti e traumi, ma non arrivano ad essere un pericolo e nonostante tutto la vita deve continuare. E' questo, peraltro, il modo migliore di sconfiggere il terrorismo. Zeev Sternhell, 4 settembre 2011, intervista a L'Unità Il vecchio continente naviga alla cieca. La sua condiscendenza nei confronti della Russia di Putin, corrotta fino all'osso, violenta e nichilista, protettrice degli Assad, prova quanto la lezione dissuasiva dell'11/9 si stia dimenticando. Bin Laden è morto, la sua rete sopravvive, ma dispersa. Tuttavia, la potenza nociva che colpì Manhattan rimane. Sono bastati qualche regione fuorilegge (questo non manca mai), padrini senza scrupoli (nemmeno questi mancano) perché un piccolo gruppo armato di cutter colpisse al cuore la potenza mondiale numero uno. Immaginate i danni se avesse preso come bersaglio una centrale nucleare! (…) Bin Laden è scomparso, non la strategia degli odi radicali e senza pietà. André Glucksmann, 7 Settembre 2011, Il Corriere della Sera (…) Cosa ho provato davanti a quelle immagini oggi celebri? Innanzitutto, sono rimasto affascinato, come davanti ai migliori film catastrofici di Hollywood. Non assorbiamo forse l'immagine prima del suo contenuto? Si, riconosco che ero soggiogato dalla perfezione con cui l'attentato era stato eseguito. Solo dopo aver realizzato che le silhouette che si gettavano nel vuoto dal 300° piano per sfuggire alle fiamme non erano manichini ma esseri umani, come voi e me, condannati a morte da un'ideologia folle che invocava Allah, sono stato preso dall'orrore. Orrore che provo ancora oggi. Marek Halter, 9 settembre 2011, Il Corriere della SeraCosì, quando l'America si sveglia in una mattina di primavera farfugliando il nome di Abbottabad, il nascondiglio segreto subito entrato nella mitologia Usa, c'è come un lungo momento di stupore e risveglio che attraversa il paese da una costa all'altra, prima che il tutto si stemperi nelle scene di giubilo che da Time Square si riversano nelle case di tutto il mondo. “Giustizia è fatta”, scandisce Obama. Non significa che il terrorismo sia stato sconfitto ovunque e per sempre. Ma un cerchio si è chiuso davvero. Paolo M. Alfieri, 9 settembre 2011, Avvenire Esiste un ciclo mediorientale, fatto dall'alternarsi di rivoluzioni e guerre, misurabile in una scansione di circa dieci anni. Nel 1990 Saddam Hussein invade il Kuwait e avvia una fase di coinvolgimento diretto degli occidentali/americani. Nel 2001 l'attentato alle Torri definisce un decennio in cui l'Occidente diventa il centro della guerra, con la guerra in Afganistan e la seconda guerra del Golfo. Nel 2001 le rivoluzioni di popolo scandiscono un altro decennio ancora che, per i suoi valori di libertà, sembra annunciare invece la chiusura di questo scontro con Est-Ovest (...) Siamo alle solite, dunque, ma con una sostanziale differenza. Oggi sono in crisi anche i paesi occidentali che hanno sempre giocato al fianco dell'uno o dell'altro Paese. Lucia Annunziata, 9 settembre 2011, La Stampa LA CRISI ECONOMICA E' sorprendente constatare, 10 anni dopo, che non sono stati i terroristi di Al Qaeda a indebolire l'America, ma l'America stessa si è indebolita cedendo all'avidità e alle follie di un sistema finanziario sgretolato e irresponsabile. Jean-Marie Colombani, 10 settembre 2011, La Stampa Il pericolo maggiore, oggi, malgrado la solidarietà di cui gode l'Occidente nella lotta al terrorismo, sta proprio nell'erosione interna della comunità atlantica, man mano che le democrazie liberali sono costrette ad affrontare tutta una serie di crisi che ne mettono in dubbio la legittimità e competenza, senza però trovare risposte adeguate (…) Per rimettere ordine in casa propria, i Paesi occidentali dovranno infondere nuovo slancio alle loro istituzioni politiche ed economiche. Solo così sarà possibile gestire efficacemente la globalizzazione e restituire all'Occidente il suo ruolo di custode dei valori di democrazia e libertà. Charles Kupchan, 5 settembre 2011, Il Corriere della Sera Il Paese è ora più radicalmente diviso e contrapposto di prima. Perché una parte diffusa, ricca e caparbia della nazione, il conservatorismo, non intende venire a patti con il resto del Paese, né con il fallimento delle proprie ricette economiche e strategiche. E non riesce ad immaginare il proprio posto nel mondo se non nel culto di un'unicità e supremazia dell'America le cui fondamenta sta esso stesso sfaldando (…) La società americana ha problemi strutturali ma anche leve – ben più dell'Europa – per ridefinirsi e rilanciarsi. Potrà farlo solo se si libererà dal cappio di un conservatorismo che, dopo averla resa più disuguale e divisa, la sta ora costringendo a ingovernabilità e declino. E' questa l'eredità più tenace e paradossale dell'undici settembre. Federico Romero, 4 settembre 2011, L'Unità Obama vuole guardare avanti, ma è il primo presidente che si trova a gestire un Paese che se è ancora la prima superpotenza militare del mondo (e i militari qui sono ancora in cima ai sondaggi), non lo è più nel fatturato e nel colonialismo economico. La crisi gli morde il fondo dei pantaloni e lui sa che domenica anche i suoi avversari si porteranno la mano sul petto cantando a una sola voce l'inno nazionale. Ma da lunedì si giocherà la rielezione sulla base di quel che accade a Wall Street… Bruno Vespa, 9 settembre 2011, Il Giorno Quell'11 settembre ci fu, fortissimo e verosimile, il timore che il capitalismo americano potesse vacillare sotto il colpo di Al Qaeda. E dieci anni dopo l'economia nazionale è davvero in ginocchio (…) Il costo di questo disastro lo paga Barack Obama con un tracollo nei sondaggi che può costargli la rielezione. A nulla gli è valso aver ucciso Osama Bin Laden (…) La vera storia dei dieci anni più disastrosi per l'economia americana non inizia l'11 settembre, ma subito dopo: quando Bush incita i suoi concittadini: “Uscite di casa, andate negli shopping mall, patriottismo è andare a spendere perché la nazione non si fermi”. Da questo slogan indimenticabile emana la più magistrale giustificazione ideologica per il decennio della “vita a credito”, del boom immobiliare finanziario con mutui subprime, della nazione in declino che vive al di sopra dei suoi mezzi vendendo buoni del Tesoro ai cinese. Federico Rampini, 7 settembre 2011, La Repubblica LA SOCIETA' OCCIDENTALE L'11 settembre ha alterato in modo irreversibile il tradizionale rapporto tra potenza e sicurezza – sul piano psicologico e morale prima ancora che su quello materiale; nella percezione soggettiva collettiva prima ancora che sul piano della effettiva sicurezza militare. E' stata ferita l'intimità di una nazione. Gian Enrico Rusconi, 10 settembre 2011, La Stampa Oggi, persino a distanza di dieci anni dall'attentato, coloro che si trovavano a New York quel giorno si accorgono di vigilare quasi costantemente su ciò che li circonda e capiscono di far parte di una comunità. Oggi siamo più attenti a chi ci sta accanto, nell'ascensore come nel vagone della metropolitana: questi estranei potrebbero essere le ultime persone che avremo accanto e forse saremo costretti a chieder il loro aiuto per estrarci dalle macerie. (…) New York ha perduto molto quell'11 settembre 2001, ma a rischio di sembrare banale, sono convinto che la metropoli – pure rivelandosi esistenzialmente fragile e vulnerabile – abbia riscoperto il senso di appartenenza alla famiglia umana. Jay Mclerney, 4 settembre 2011, Il Corriere della Sera Tutto passa, ma passando, ci cambia per sempre. E l'11 settembre del 2011, a riguardarlo 10 anni dopo, ricordando la cenere soffice che cadeva downtown Manhattan, cemento, carte, cadaveri umani, diventa specchio fatale. Abbiamo visto nuda la nostra immagine, abbiamo incontrato il bene e il male della nostra civiltà senza più maschere. Gianni Riotta, 4 settembre 2011, La Stampa Da quel giorno il mondo è cambiato, da quel giorno forse non ci siamo sentiti tutti americani, ma di certo ci siamo sentiti più vulnerabili, esposti a un pericolo che, venendo dal nulla dell'ideologia più estrema, toglie ogni sicurezza, perché il nemico può essere alle porte, ma può essere anche dentro le nostre città, la nostra casa, la nostre vita. Al Qaeda ha perso su molti fronti, e la morte di Osama Bin Laden non è certo qualcosa che può ripagare i tanti lutti che ha provocato. Ma, purtroppo, su un punto Al Qaeda ha vinto: ha minato alla base le nostre certezze. Sta comunque a noi andare avanti per mostrare a chi è destinato a prendere il nostro posto, nel lavoro, nella politica, nella vita che come diceva Giovanni Falcone della mafia, il terrorismo è fatto da uomini e quindi può essere sconfitto. Stefano Stefani, 10 settembre 2011, La Padania La domanda che inquieta questo decimo anniversario che potrebbe essere l'ultimo con tanta solennità ufficiale è sapere dove quell'evento abbia portato la nazione. E' un'America più luminosa, più convinta del proprio “soft power”, della capacità di attrazione morale, culturale e civile, quella che ha saputo sopravvivere all'11 settembre, o è un'America prigioniera del proprio “hard power”, della forza dura delle proprie armi, il solo terreno nel quale la sua superiorità resti indiscussa? Forse la polvere della noia nasconde una paura più profonda e ancora più tossica, quella di aver perduto la guerra della supremazia morale, nella palude della guerra continua e interminabile. Dopo l'11 settembre, è divenuto molto più “fatiguing”, molto più faticoso, essere tutti americani. Vittorio Zucconi, 7 settembre 2011, La Repubblica LE GUERRE DI REAZIONE Il filo conduttore del decennio si è ispirato non tanto agli attentati dell'11 settembre in sé, quanto alle loro conseguenze: le due guerre avviate dal presidente George W. Bush. La guerra in Iraq, che oggi rimpiango di aver sostenuto a suo tempo, ha causato la morte di migliaia di soldati americani e forse centinaia di migliaia di civili iracheni, per non parlare del costo, che supera il trilione di dollari. Benché la guerra in Iraq non sia stata la causa specifica del declino dell'America, essa ne rappresenta peraltro il simbolo e il sintomo. Robert David Kaplan, 4 settembre 2011, Il Corriere della Sera (…) Per i terroristi dell'11 settembre, il World Trade Center era il simbolo del capitalismo americano. Distruggere le Due Torri significava distruggere il sistema economico che aveva condotto gli Stati Uniti a essere la prima potenza mondiale. Dieci anni dopo, gli Stati Uniti e il mondo stanno ancora pagando gli effetti – economici, finanziari, sociali – di quell'evento (…) E' comunque difficile levarsi dalla testa che il vero lascito economico dell'11 settembre siano proprio le spese militari, il fiume di denaro fatto affluire dall'amministrazione Bush, e poi da quella Obama, in Afghanistan, in Iraq, in ogni altra parte del mondo in cui gli Stati Uniti abbiano percepito un (supposto) pericolo. I 4 mila miliardi che Stiglitz e la Bilmes hanno visto prendere la strada dell'Afghanistan e dell'Iraq sono stati sottratti al lavoro, agli investimenti, alla sanità, all'educazione. “Non puoi spendere miliardi in una guerra fallita all'estero, e non sentire il dolore a casa”, hanno scritto Stiglitz e la Bilnes. A parte i numeri e le percentuali, è proprio quel “dolore” – nelle case, sulle tavole, nelle scuole e negli ospedali – che gli americani hanno più percepito dopo il settembre 2001. Roberto Festa, 5 settembre 2011, Il Fatto Quotidiano C'è chi ci accusa di aver reagito in maniera sproporzionata. Sarebbe come rimproverare a Roosvelt di aver esagerato nella risposta a Pearl Harbour. E' stato importante considerare l'attacco dell'11 settembre come un attacco di guerra e non un problema di ordine pubblico (…) Paul Wolfowitz, 9 settembre 2011, intervista a La Stampa Rassegna a cura di Carlotta Addante