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La buffonata delle Province Vale solo 130. E ci costa pure

I calcoli dei tecnici. Non le cancellano tutte e la diminuzione delle spese dipenderà dalle Regioni. Nuove competenze? Paghiamo noi

Andrea Tempestini
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La fanfara politica ha suonato da inizio agosto: cancelliamo le Province (inutili) per risparmiare mucchi di dobloni e sesterzi. Peccato però che nel frattempo le modifiche al primo testo della manovra abbiano cancellato l'eliminazione di una trentina di province (quelle con meno di 300mila abitanti). E il compromesso politico abbia poi partorito un disegno di legge costituzionale - approvato da meno di 48 ore dal Consiglio dei ministri - per arrivare alle futuribili province regionali. Tutto in nome dei risparmi di spesa (pubblica) e di una più funzionale gestione della macchina pubblica. Ieri “Il Sole 24 Ore” si è esercitato in un calcolo funambolico degli eventuali (e futuri) risparmi di questa norma, quando e come le quattro letture del Parlamento dovessero veramente decretare la morte delle 110 province italiane (escluse Trento e Bolzano). Premesso che qualsiasi disegno di legge entra a Palazzo Madama in un modo e ne esce, quando va bene, più che modificato, il calcolo sui ventilati risparmi può essere fatto solo e soltanto sulle poltrone (assessori e consiglieri) che, forse, non avranno più lo scranno, l'appannaggio e i sostanziosi assegni di fine mandato. Secondo i calcoli del quotidiano di Confindustria la riforma, quando e come (e se) diventerà operativa nel suo complesso porterà a minori uscite per le casse dello Stato pari a circa 130 milioni di euro. Considerando che gli stanziamenti di bilancio annuali per far funzionare il centinaio di province oggi attive ammontano a quasi 13 miliardi l'anno, tutto il can can estivo si tradurrà effettivamente in un risparmio per le casse statali di appena l'1%. Poco? Forse, ma solo quando la riforma diventerà legge. E senza considerare che nel frattempo alcune province potrebbero arrivare alla scadenza naturale o anticipata e se la norma costituzionale non sarà varata per tempo si dovrà aspettare la naturale scadenza del mandato per sopprimere l'istituzione e trasferire le competenza alla regione.   Ma c'è dell'altro. Ed è poco confortante. Il rischio è che per paradosso - come già emerso spulciando la relazione tecnica del Senato del 23 agosto - la soppressione in una prima fase più che un risparmio si trasformi in un maggior onere. «Pur condividendo la difficoltà di determinare a priori i possibili risparmi connessi alla soppressione delle Province», scrivevano gli esperti del Servizio Bilancio del Senato analizzando l'eventuale soppressione di quelle sotto i 300mila abitanti, «appare opportuno che il governo fornisca una stima, sia pur di massima, dei possibili effetti finanziari derivanti». E poi il monito: «Gli effetti finanziari positivi potrebbero in parte essere compensati dal manifestarsi di possibili profili onerosi, in particolare, nella fase di transizione». Il che tradotto vuol dire: la chiusura non sarà a costo zero ma bisognerà mettere mano al portafoglio. Infatti i tecnici  sottolineavano «eventuali criticità finanziarie che potrebbero sorgere relativamente ad una serie di adempimenti di natura straordinaria e connessi alla gestione del passaggio delle funzioni, delle risorse umane, strumentali e finanziarie dalle province soppresse ai nuovi enti destinatari». Insomma, dal trasferimento di competenze e personale possono «derivare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica per effetto di un diverso inquadramento economico-giuridico di detto personale». Ma la fantasia degli italiani, è noto, non ha limiti e incappati in un (futura) norma trovano subito la soluzione.  Da anni il presidente della Provincia di Salerno sta portando avanti un progetto a dir poco ambizioso: trasformare la Provincia in Principato. E non si tratta di una trovata pubblicitaria per far parlare un po' i giornali. Il 20 settembre - anniversario della breccia di Porta Pia - la Corte Costituzionale dovrà decidere se quella di Salerno potrà cambiare il proprio nome in Principato e trasformarsi così nella ventunesima Regione d'Italia.  La proposta di istituzione della nuova Regione è stata votata a inizio 2011 dal Consiglio provinciale di Salerno e appoggiata da 68 Comuni. E ancora: è stata avanzata la richiesta di indire un referendum tra i residenti, proprio come prevede la carta costituzionale. La prossima settimana la Consulta dovrà decidere se alla consultazione  referendaria dovranno partecipare gli elettori residenti nel territorio del Principato  oppure anche quelli di tutta la Campania. È la prima volta che sono state attivate le procedure previste dall'articolo 132 della Costituzione per l'istituzione di una nuova Regione. E se arriverà il sì dell'oltre 1 milione di abitanti residenti nei 158 comuni salernitani, il Principato di Salerno potrebbe fornire un cavallo di Troia per evitare la chiusura. di Antonio Castro

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