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PrimePagine I giornali del 12 settembre 2001 Un secolo dilatato in pochi secondi di terrore

Conservatori e progressisti, tutti d'accordo: un evento epocale. Anzi, la fine di un epoca

Giulio Bucchi
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Il giorno dopo era già un altro mondo. Ma a 10 anni di distanza non si può resistere alla tentazione di rileggere come i più importanti quotidiani avessero interpretato la tragedia del World Trade Center. Su due cose tutti, conservatori e progressisti, erano d'accordo: che si trattasse di un evento epocale, anzi della fine di un'epoca, il Novecento, secolo breve dilatato in pochi secondi di terrore. E che non fosse ancora il tempo di dare giudizi sulle responsabilità di quelle migliaia di vittime. Poche ore e sarebbe iniziato il balletto di recriminazioni, accuse, dietrologie, complottismi, faide più o meno interne. Quel 12 settembre no, c'era solo lo spazio per lo sgomento. Guarda le prime pagine del 12 settembre 2001 Atto di guerra - Il New York Times titola "U.S. Attacked", perché come ribadiscono New York Post e Usa Today l'attentato è un "Atto di guerra". E mentre il Washington Post allarga lo spettro e sottolinea l'altro schianto, quello sul Pentagono, è soprattutto all'estero che l'evento assume il senso della storia: "Attacco all'America e alla civiltà", si sbilancia il Corriere della Sera. Il celebre editoriale di Oriana Fallaci sull'attacco dell'Islam all'Occidente chiude il cerchio: in ballo non ci sono solo gli Stati Uniti, c'è l'Europa, la sua visione del mondo, ci siamo noi. Per questo, non a caso, Libero titola "Forza America reagisci". Era già finito il tempo del dolore, doveva cominciare quello del riscatto. Di lì a qualche giorno, il presidente George W. Bush avrebbe proclamato l'inizio della "guerra al terrore". Pugni allo stomaco - Poi ci sono le foto. A tutta pagina, enormi, devastanti. Il fumo dalle torri gemelle, la sagoma del secondo aereo dirottato che sta per dilaniare la struttura in vetro e acciaio, il fuoco delle esplosioni, il sangue dei sopravvissuti, la polvere e la fuliggine che ricopre le strade di Manhattan. Tutti i giornali intuiscono di avere tra le mani cronaca che è già storia. La guerra è lì, sotto l'obiettivo e in diretta tv. Nessuna trincea lontana, nessuna giungla, bunker o fortino. Tra il frastuono della parole urlate, dei punti esclamativi, delle immagini che schiaffeggiano fa effetto il silenzio di due giornali in particolare. Sono il Renmin Ribao e il Guangming Ribao, cinesi, voce del governo di Pechino. Dedicano all'evento spartiacque un terzo della prima pagina, senza foto, e un terzo delle pagine degli esteri. Un mondo ancora per poco lontano.

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