Tangenti rosse, mail e postilla Ecco come è nata l'accusa
Una lettera di Di Caterina a Penati fa scattare le indagini dei magistrati su uno scandalo sempre presunto ma mai provato
Tutto è cominciato da un'email. Era il giugno del 2010, e la Procura di Milano aveva disposto delle perquisizioni dopo aver scoperto alcune anomalie relative agli appalti legati al progetto Milano Santa Giulia, quello in zona Rogoredo. C'erano queste strane compravendite e forniture di servizi che proprio non convincevano, protagonisti il costruttore Luigi Zunino e questo fin'allora sconosciuto Piero Di Caterina, imprenditore nel ramo trasporti pubblici con interessi anche nell'immobiliare. E niente, è proprio durante la perquisizione a Di Caterina che viene fuori questa lettera, inviata per posta elettronica a Filippo Penati e Bruno Binasco, quest'ultimo già strettissimo collaboratore del "re delle autostrade" Marcellino Gavio e poi, dopo la scomparsa di quest'ultimo, importante manager dell'omonimo gruppo. E così iniziava, lo scritto allegato agli atti dell'inchiesta e datato 26 aprile 2010: "Signori, come a voi ben noto il sottoscritto, nel corso degli anni, a partire dal 1999, ha versato a vario titolo, attraverso dazioni di danaro, a Filippo Penati notevoli somme". Di Caterina proseguiva reclamando la restituzione del denaro, a suo dire solo in parte recuperato - due milioni e mezzo di euro dal 2002 fino a quel momento. E poi l'accenno all'episodio chiave: "Fu coinvolto nelle trattative l'Arch. Sarno che, da qualche tempo, era coinvolto negli interessi di Penati, per la definizione delle modalità di copertura dei debiti e fu proposto l'acquisto di un nostro immobile da parte del Dr. Bruno Binasco, col quale si sottoscrisse un compromesso e che, alla fine del mese di novembre 2008, attraverso l'Arch. Sarno, ci fece tenere assegno per Euro 2.000.000,00 a titolo di caparra/acconto, come convenuto". Poi Di Caterina continua chiedendo di riavere anche il resto del denaro negli anni versato sottobanco a Penati. Ma insomma, ecco la prima domanda che si pongono i magistrati: perché, per ripianare i presunti versamenti illeciti di un imprenditore a Penati, viene coinvolto il supermanager del gruppo Gavio? "Arrivano i soldi" - L'inchiesta prende corpo. Di Caterina comincia a parlare, alle sue rivelazioni s'aggiungono quelle di Giuseppe Pasini, altro imprenditore di Sesto San Giovanni che denuncia le tangenti versate a Penati o a chi per lui per gli affari immobiliari sull'area ex Falck - il fascicolo sarebbe poi finito a Monza per competenza. E, fra i tanti rivoli d'indagine, se ne va definendo uno di particolare interesse: Di Caterina, ripercorrendo davanti agli inquirenti le sue insistenze per riavere i soldi, dichiara che «mi fu detto proprio da Penati per convincermi ad aspettare che di lì a poco sarebbero arrivate delle somme consistenti. Mi riferisco all'affare della Serravalle». Quello in seguito al quale il gruppo Gavio, dopo aver ceduto alla Provincia guidata da Penati il suo 15 per cento di azioni della società autostradale, realizzò una plusvalenza di oltre 176 milioni di euro. Incontri con Gavio - Di Caterina dichiara d'aver avuto incontri con Marcellino Gavio in persona, e dopo la sua morte di aver parlato proprio con Binasco, con l'intermediazione dell'architetto Renato Sarno. Alla fine viene deciso - secondo i pm sempre su indicazione di Penati - che sarebbe stato proprio Binasco - attraverso la società Codelfa spa - a versare i soldi a Di Caterina. E ne stabiliscono la modalità, poi richiamata per l'appunto nella email: Binasco avrebbe stipulato un contratto per l'acquisto di un immobile di proprietà di Di Caterina, versando una caparra che, nel caso in cui la compravendita non avesse avuto luogo, sarebbe rimasta a quest'ultimo - circostanza che si verifica. «Le condizioni del contratto stipulato con Binasco le ho trattate con Sarno e Binasco - fa verbalizzare Di Caterina - e quest'ultimo ha deciso la data del definitivo, l'importo della caparra ed ha aggiunto la clausola di rinuncia scritta a mano in calce al preliminare». Una postilla che, secondo i pm, è la dimostrazione del fatto che si trattasse di un contratto farlocco. E dunque, ecco quel che scrive Binasco a mano: «La parte promettente acquirente si riserva in qualsiasi momento prima della stipula del contratto definitivo di vendita di rinunciare mediante semplice comunicazione scritta alla parte promettente venditrice all'acquisto del bene con sola rinuncia della caparra confirmatoria versata». "Postilla simulatoria" - In questo senso il pm di Monza Walter Mapelli così scrive, replicando al gip che aveva negato l'arresto per Penati: «Le annotazioni manoscritte di Bruno Binasco al contratto preliminare consentono di attribuirgli una valenza simulatoria perché dimostrano come fosse già nelle intenzioni del promissario acquirente rinunciare all'acquisto con conseguente perdita di due milioni di euro». Considerazione, questa, che va unita al testo della email da cui siamo partiti, e supporta la versione dei fatti fornita da Di Caterina. Prosegue poi il pm: «Simulazione che ovviamente serve e serviva a creare una “copertura” ad un'operazione di restituzione di fondi che, come tale, risponde e rispondeva ad altre finalità». E quali finalità? Perché Binasco, manager del gruppo Gavio, si presta a quest'operazione coperta per far avere soldi a Di Caterina? Sempre secondo i magistrati, «l'unica alternativa razionale e coerente per spiegare il pagamento di Binasco a Di Caterina nell'interesse di Penati e Vimercati è che la somma sia parte della tangente a loro destinata per l'acquisto da parte della Provincia di Milano del 15% delle azioni della Milano Serravalle avvenuto in data 29.7.2005». Riunioni segrete - Sulla questione, Di Caterina ha inoltre consegnato ai giudici un documento, un foglio, spiegando: «Si tratta di un foglio dattiloscritto con alcune annotazioni a mano. Mi è stato consegnato da Antonio Princiotta [già segretario generale della Provincia di Milano, ndr] […] dicendomi che contiene il testo delle trattative che si sono svolte in relazione all'acquisto della Milano Serravalle da parte della Provincia di Milano. Il documento, sempre a detta di Princiotta, è stato oggetto di discussione nel corso di alcuni incontri presso lo studio del commercialista Ferruccio di Milano via Pontaccio, nell'aprile del 2005. Princiotta mi ha riferito che a quegli incontri partecipavano lui, Vimercati, Binasco e un rappresentante di Banca Intesa, tale Pagani e che si è anche parlato di un “sovrapprezzo” da pagare a favore di Penati e Vimercati. Tale importo era una percentuale del sovrapprezzo che la Provincia avrebbe pagato per ogni azione acquistata in virtù del pacchetto di maggioranza che veniva raggiunto». Anche Sarno, Princiotta, Vimercati e il manager di banca Intesa Maurizio Pagani sono indagati nell'inchiesta. Insieme con Penati. E siamo solo all'inizio. di Andrea Scaglia