Tra 'Black bloc' e immigrati: Venezia incorona la sinistra
Menzione d'onore per il documentario sul G8 di Genova prodotto da Domenio Procacci il vero Che Guevara del cinama italiano
Mina Zapatero saltella raggiante fuori dal palazzo del cinema, e per la contentezza uno dei seni abbondanti le sguscia per metà fuori dalla maglietta, regalando al pubblico una minna di Mina: il documentario a cui ha lavorato ha appena ottenuto il plauso della giuria nella sezione Controcampo italiano della Mostra del cinema di Venezia. Motivazione: «Per averci fatti partecipi di una esperienza altrimenti relegata a una minoranza di lotta». Cioè per averci rifilato una roba degna al massimo di essere venduta come videocassetta allegata all'Unità. Dunque evviva evviva la Minzione d'Onore per Black block, il documentario sul G8 di Genova del 2001 girato da Carlo Augusto Bachshmidt. Trattasi di una serie di interviste ad alcuni manifestanti che si trovavano nella scuola Diaz la famigerata notte in cui fece irruzione la polizia. Ciascuno degli interpellati cerca di descrivere le forze dell'ordine italiane peggio che può: chi richiama l'Argentina dei tempi oscuri, chi le SS naziste e via dicendo. Il regista ha spiegato in conferenza stampa: «Per dieci anni il termine Black block è stato sempre associato alla violenza dei manifestanti ed è per questo che spesso viene ricordato il G8 del 2001. Ho chiamato così il documentario provocatoriamente, perché volevo raccontare un'altra violenza, molto più grave, non contro le cose ma contro le persone». Insomma, lo Stato violento che non tollera i poveri manifestanti no global e vorrebbe ucciderli. Come permettere che tale opera d'ingegno restasse confinata alla «minoranza di lotta»? Mai più senza, d'ora in poi. Non concedergli neanche una mezza cartuccia di premio era impossibile, tanto più che il produttore è Domenico Procacci di Fandango, il brizzolato Che Guevara del cinema italiano, invischiato in tutte le operazioni più radical e combattive. Tanto per dire: sta realizzando un altro film sulla Diaz con Elio Germano e Claudio Santamaria e fra pochi giorni manderà in libreria il dvd con volume accluso di questo Black block. “Controcampo italiano” non si fa mancare niente: ci sono i combattenti anticapitalisti, però pure i lavoratori cassintegrati e persino gli immigrati clandestini. Alla fine l'elenco dei premiati sembra il verbale di una riunione di redazione del manifesto. La seconda Minzione d'onore (per la fotografia) va a Pugni chiusi di Fiorella Infascelli, che si aggiudica anche il premio per il miglior documentario. La pellicola è sugli operai della Vinyls che per protesta si sono rifugiati all'Asinara e hanno messo in scena il finto reality L'isola dei cassintegrati. I giurati veneziani, tra cui Cristiana Capotondi, ci tengono a comunicare che la loro situazione «può ancora e deve cambiare», dopo tutto lo spritz sulla terrazza dell'Excelsior è più gustoso se preceduto da uno strapuntino di impegno sociale. Gran finale con il riconoscimento per il miglior cortometraggio a A Chjàna, film di Jonas Carpignano sulle rivolte dei neri a Rosarno. Un po' di immigrazione ci voleva anche qui, altrimenti si rischiava di essere fuori linea rispetto al resto della mostra, dove se non hai almeno un gommone non sei nessuno. Seguono lacrime di commozione. Il riconoscimento a questo corto, poi, ha consentito di ignorare l'altro film multiculturalista della sezione, l'inconsistente Cose dell'altro mondo di Francesco Patierno dedicato al Veneto razzista: c'è un limite al peggio. Il premio per il lungometraggio è andato così al discreto Scialla! di Francesco Bruni, con Fabrizio Bentivoglio nel ruolo di un professore in disarmo costretto suo malgrado a convivere con un ragazzetto ignorante come una capra. Giusto per dimostrare che l'intellighenzia cinematografara marcia compatta con il popolo in rivolta, ieri gli okkupanti del teatro Valle di Roma hanno trovato un modo per giustificare la propria presenza al Lido, altrimenti incomprensibile. Dopo aver preso residenza anche al teatro Marinoni nei pressi della Mostra (lo hanno «reso alla cittadinanza», dicono), hanno pensato bene di tagliare i teloni che coprono la vista del gigantesco cratere dove avrebbe dovuto sorgere il nuovo palazzo del cinema. «Abbiamo sollevato il muro della vergogna», hanno scandito trionfanti, tra gli applausi dell'attore Pippo Delbono e di Ottavia Piccolo. Quest'ultima è diventata la madrina di tutte le proteste. Ha aderito allo sciopero della Cgil dei giorni scorsi, mentre tutti i suoi colleghi se ne sono fregati, e adesso si schiera con gli squatter: prossimamente la vedremo in tutte le più agitate riunioni di condominio, pare sia disponibile anche per feste di compleanno nelle case del popolo. A richiesta, può portare con sé un caso umano a scelta tra lavoratori precari, clandestini disperati e no global indignati. di Francesco Borgonovo