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Serravalle, il Pd è allo sbando: Penati indagato per corruzione

Mazzette democratiche. Nel 2005 la Provincia da lui guidata comprò le azioni pagandole uno sproposito. Pm: "tangente, l'unica alternativa"

Andrea Tempestini
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Filippo Penati indagato per corruzione anche in ordine alla cosiddetta vicenda Serravalle, e per la verità era un po' il segreto di Pulcinella. Da par suo, l'ex sindaco progressista di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano nonché ex capo della segreteria politica di Bersani rimarca che «non ho ricevuto alcuna comunicazione formale dalla Procura di Monza». Ma era nelle facoltà del magistrato tenere in una certa misura nascosto il provvedimento. E d'altronde, dopo che lo stesso sostituto procuratore Walter Mapelli aveva espressamente scritto negli atti di come, alla luce dei fatti emersi, quella della tangente fosse «l'unica alternativa razionale e coerente»,  non si capiva come mai Penati non fosse ancora iscritto nel fatal registro. Peraltro, con la stessa ipotesi di reato è sotto indagine Maurizio Pagani, all'epoca dei fatti manager di Banca Intesa, indicato dal grande accusatore Piero Di Caterina come uno dei partecipanti alle riunioni in cui si sarebbe decisa l'entità delle mazzette. Così come indagati per la questione dovrebbero essere anche Giordano Vimercati, già capo di gabinetto di Penati in Provincia, e Bruno Binasco, manager del gruppo Gavio. E fu proprio il gruppo Gavio a vendere, nel luglio del 2005, il 15 per cento delle azioni della società Milano Serravalle - quella dell'autostrada Milano-Genova e parte delle tangenziali milanesi - alla Provincia di Milano. Un'operazione criticatissima, poiché di fatto la Provincia - insieme con il Comune - già controllava la società. E poi il prezzo: le azioni furono pagate 8,83 euro l'una, con Gavio a realizzare una plusvalenza di 176 milioni di euro. Paradossale, se si pensa che solo quattro mesi prima la società di Gavio ne aveva vendute a 4,85 euro, e appena quattro giorni dopo l'operazione ne cedette altre a 6,79. In ogni caso la Corte dei Conti, nel censurare l'operazione, parlò esplicitamente di «danno erariale». I PM STUDIANO LE CARTE Com'è noto, elemento centrale di questa porzione d'indagine è il pagamento da parte del gruppo Gavio - tramite Binasco - di due milioni di euro a Piero Di Caterina, l'imprenditore che per anni sostiene d'aver foraggiato sottobanco Penati, e da cui pretendeva la restituzione dei soldi. Nel 2008 proprio Binasco inscenò quella che secondo i pm era una falsa operazione di compravendita immobiliare con Di Caterina, lasciando che l'opzione scadesse e quest'ultimo intascasse i due milioni di caparra. Una tangente mascherata. Parte di quella che il gruppo Gavio avrebbe corrisposto a Penati e Vimercati. I magistrati hanno poi acquisito il fascicolo aperto a Milano sulla questione. E studiato le perizie effettuate ai tempi. E anche perquisito le tre società del gruppo che specificamente cedettero i titoli alla Provincia - la Salt (Società autostrada ligure toscana), la Satap (Società autostrada Torino-Alessandria-Piacenza) e la Astm (Autostrada Torino-Milano). Ci sono poi, come detto, le dichiarazioni di Di Caterina su quanto gli avrebbe le confidato Antonio Princiotta, a proposito di incontri per definire la mazzetta a cui avrebbe per l'appunto partecipato anche Maurizio Pagani, manager di quella che allora si chiamava Banca Intesa - e però il legale di quest'ultimo, Alfredo Giarda, ribatte che Di Caterina indica nome e indirizzo di uno studio di commercialista in cui sarebbero avvenuti gli incontri, e «quello studio in quella via non esiste». Infine: il ricorso della Procura contro il rigetto da parte del gip della richiesta d'arresto per Penati e Vimercati sarà discusso il 21 ottobre davanti al Tribunale del Riesame di Milano. di Andrea Scaglia

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