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E Bersani manda a fondo il Pd

La Cgil contro l'emendamento sulla flessibilità, Pier Luigi la segue. In realtà la norma recepisce le indicazioni Ue. Partito spaccato

Giulio Bucchi
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«Micragneria politica», dice Pier Luigi Bersani mentre scava uno dei solchi più profondi nella sinistra italiana portando il Pd in piazza con la Cgil nello sciopero generale di oggi. «Certo che ci sarò, con tutti quelli che criticano questa manovra: è un governo di irresponsabili. Con tutti i problemi che ci sono, per un puntiglio ideologico e una micragneria politica, si vuol mettere un solco tra le forze sociali». L'ex ministro si riferisce all'emendamento approvato domenica in commissione bilancio al Senato, che ha esteso la deroga agli accordi nazionali anche per quanto riguarda la possibilità di licenziare con l'assenso dei sindacati. Alla Cgil non è sembrato vero avere una motivazione fresca da appiccicare a una protesta senza veri bersagli. Susanna Camusso ha aspettato pochi minuti, dopo la notizia del voto a Palazzo Madama, per gridare alla violenza costituzionale sui lavoratori.  Le uscite con cui Bonanni (Cisl) ieri su Messaggero, Stampa e A ha preso le distanze dalla Cgil, che ha descritto al guinzaglio della Fiom e tacciato di «allarmismo», fanno capire il solco che si è aperto, non solo nel sindacato. Cosa prevede l'emendamento? Che si possano - col consenso dei sindacati, il che stringe il cerchio - stipulare contratti locali e aziendali in deroga a quelli nazionali anche sul tema della licenziabilità. In teoria per Cisl&c è una grande occasione: c'è la possibilità di mettere le mani in pasta, sedersi a un tavolo vero, contrattare migliori paghe in cambio di più flessibilità, invertire l'anomalia italiana che vede stipendi minori proprio per chi ha contratti meno solidi. Pur infastiditi da metodo e tempistica del provvedimento, Cisl e Uil hanno fatto capire che a loro questa prospettiva interessa. La Cgil ha fatto altre scelte, fino ad arrivare a impedire l'uscita - oggi - del Corriere della Sera, provocando l'ira di De Bortoli. La scelta con cui Bersani ha schierato il principale partito d'opposizione nella stessa piazza, raggiungendo buon ultimo Di Pietro, De Magistris e Vendola, è un'illogica conseguenza di questa. Se la Cgil pare allontanarsi da una possibilità di incidenza diretta sulle condizioni dei lavoratori, in favore di una politicizzazione del suo ruolo, il Pd si accoda, consapevole della difficoltà a mollare quella sponda politica. Non fosse arrivato l'emendamento, il terreno di attacco al governo avrebbe offerto ancora  scampoli presentabili. Ora, lo stesso leader che ha accusato più volte (non senza ragione) il governo di essere stato commissariato dalle istituzioni comunitarie, scende in piazza contro una riforma invocata proprio da quelle istituzioni, per non parlare degli appelli di Napolitano. Non solo il tema del mercato del lavoro è “battuto” da Ue e Bce assieme ai conti, ma nella famosa lettera “segreta” Draghi-Trichet che dettava i tempi a Roma si chiedeva esattamente quanto sta facendo il governo, in un impeto di insolito europeismo. Così il Corriere ne ricostruiva il contenuto lo scorso 8 agosto: «meno rigidità nelle norme sui licenziamenti dei contratti a tempo indeterminato, interventi sul pubblico impiego, superamento del modello imperniato sull'estrema flessibilità dei giovani e precari e sulla totale protezione degli altri». E giusto ieri, in un discorso “interventista”, Trichet ha detto: «La Germania ha beneficiato delle riforme adottate nel mercato del lavoro, e altri paesi europei devono intraprendere lo stesso percorso». La voce più forte che ha consigliato al Pd di stare a casa oggi è stata quella di Marco Follini. di Martino Cervo

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