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La Rai gioca l'ultima carta: causa all'azionista, lo Stato

Viale Mazzini ingordo: accusa il ministero dell'Economia di non aver trasferito gettito del canone raccolto dal 2005 fino ad oggi

Andrea Tempestini
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La Rai sta pensando di intentare una causa da 1,6 miliardi di euro al proprio azionista, con il rischio di creare una nuova voragine nei conti pubblici. Il documento è stato preparato dagli uffici legali e finanziari dell'azienda di viale Mazzini e dovrebbe approdare in consiglio di amministrazione entro poche settimane. La causa riguarda la mancata corresponsione del canone di abbonamento necessario a pagare dal 2005 ad oggi gli oneri da servizio pubblico previsti dal contratto di servizio con lo Stato. A ventilare la maxi-causa era stata il 12 luglio scorso lo stesso direttore generale della Rai, Lorenza Lei, di fronte alla commissione parlamentare di vigilanza presieduta da Sergio Zavoli. «Non c'è dubbio», aveva spiegato la Lei, «che mi adopererò in tutti i modi per ottenere quanto necessario, visto che in relazione alla separazione contabile, la Rai nei diversi anni ha accumulato crediti nei confronti dello Stato, la cui somma potrebbe aggirarsi intorno a un miliardo di euro». Sempre il direttore generale aveva anticipato «l'intenzione dei vertici aziendali di valutare in consiglio di amministrazione la possibilità di adire le vie giudiziarie ordinarie al fine del recupero dello sbilancio risultante dalla contabilità separata fra costi dell'offerta di servizio pubblico e ricavi da canone». Il direttore generale quantificando a memoria la cifra della possibile causa si era comunque sbagliata per difetto. Qualche conto più vicino alla realtà è indicato nella nota integrativa al bilancio consolidato della Rai per il 2010, approvato proprio alla vigilia dell'ultima estate. Fra i ricavi dalle vendite sono indicati un miliardo e 600 milioni di euro da canone ordinario e 60,9 milioni   da canoni speciali (quelli pagati da alberghi, ristoranti, bar e altri esercizi commerciali). In nota si aggiunge che «il meccanismo di determinazione del canone unitario previsto dal testo unico dei servizi dei media audiovisivi e radiofonici (cosiddetta “contabilità separata”) evidenzia una carenza delle risorse da canone per il periodo 2005-2009 per un importo superiore a 1,3 miliardi di euro, di cui oltre 300 milioni di euro riferiti al solo 2009». A questa somma (1,3 miliardi) vanno aggiunti anche i crediti per mancato trasferimento del canone necessario a pagare il servizio pubblico relativi al 2010. Si stanno ultimando i conteggi, ma sembrano anche in questo caso vicini ai 300 milioni di euro. La somma totale per cui si valuterà l'opzione di recupero giudiziario dal ministero dell'Economia ammonta dunque a 1,6 miliardi di euro. Ad assicurare la Rai quegli introiti è l'articolo 47 del testo unico sui media televisivi e radiofonici. Che obbliga la Rai alla separazione contabile fra servizio pubblico e commerciale e lo Stato a trasferire all'azienda le risorse pubbliche (ottenute dal canone) necessarie a pagare la spesa da servizio pubblico. Il canone infatti non è stabilito né riscosso dalla Rai. Finisce in cassa al ministero dell'Economia che poi paga il servizio pubblico alla Rai. È  lo stesso governo a stabilire nel contratto di servizio, poi approvato dalla commissione parlamentare di vigilanza, quali attività inserire nella programmazione come servizio pubblico. La Rai prende atto di quel contratto e lo applica. E ogni anno fa bilanci separati delle attività pubbliche e commerciali. Sottrae la pubblicità incassata anche con spot in programmi di servizio pubblico, si fa certificare da un revisore dei conti esterno (fino all'ultimo anno è stato la Deloitte) la propria contabilità pubblica, e invia il conto al governo. Che dovrebbe semplicemente pagarlo usando i proventi del canone. Ma questo  non avviene, perché ogni anno è trasferita una cifra inferiore ai costi di 200-300 milioni di euro. Il canone infatti non basta, anche perché l'evasione è altissima. Proprio nell'audizione di luglio citata il direttore generale della Rai ha svelato come l'evasione del canone ordinario sia arrivata a 550-600 milioni di euro, mentre quella del canone speciale è addirittura il doppio del riscosso: circa 120 milioni di euro. Alla Rai basterebbe la metà di quella cifra per compensare lo sbilancio da servizio pubblico. Ma la caccia agli evasori non compete all'azienda. Che può solo avviare la causa per i crediti nei confronti dell'azionista. Certo, creare adesso a Tremonti una grana da 1,6 miliardi di euro sarebbe un vero colpo basso. Ma in Rai c'è anche un rappresentante della Corte dei Conti, che potrebbe causare qualche problema ai consiglieri se non difendono il patrimonio aziendale. di Fosca Bincher

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