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Così ricattavano Berlusconi Leggi le intercettazioni

Tarantini e moglie in cella per estorsione al premier. Tutte le carte dell'inchiesta e il memoriale difensivo di Gianpi

Andrea Tempestini
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Pubblichiamo in esclusiva l'ordinanza della Questura di Napoli che ha disposto l'arresto di Giampaolo Tarantini, sua moglie e di Valter Lavitola, ex direttore dell'Avanti. L'accusa, per tutti e tre, è di estorsione nei confronti del premier Silvio Berlusconi, ricattato in relazione al caso D'Addario. Sospetti, ricostruzioni e soprattutto le intercettazioni dei protagonisti coinvolti. Compreso  Berlusconi, che con Lavitola si sfoga: "Questo è un Paese di merda, me ne vado". Il premier ha commentato in serata ribadendo un concetto già espresso nei giorni scorsi: "Questa inchiesta è pura fantasia. Io ho dato una mano a una famiglia con figli che era abituata a vivere nell'agio e poi si è ritrovata in miseria". Berlusconi-Tarantini: leggi tutte le intercettazioni Leggi il memoriale difensivo di Giampaolo Tarantini Inizia con «l'Italia è il Paese che amo» (26 gennaio 1994) e finisce - o almeno così pare - con «vado via da questo Paese di merda di cui sono nauseato» (13 luglio ultimo scorso). Con tempistica non dissimile da quella delle persone in carne ed ossa, la vicenda politica di Silvio Berlusconi conosce la propria prima seria crisi esistenziale alla vigilia del compimento dei diciotto anni. Prima di tutto, i fatti. La sera del 13 luglio il Cavaliere e Valter Lavitola si telefonano, e la chiamata viene intercettata. Ad un certo punto il discorso scivola sul tema guai giudiziari, e quella che segue è la fedele trascrizione dello sfogo che il capo del governo consegna al direttore dell'Avanti: «Io sono uno che non fa niente che possa essere assunto come notizia di reato, quindi sono assolutamente tranquillo. A me possono dire che scopo, è l'unica cosa che possono dire di me, chiaro? Quindi io... mi mettono le spie dove vogliono, mi controllano le telefonate. Non me ne fotte niente, io tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei da un'altra parte, e quindi vado via da questo Paese di merda di cui sono nauseato. Punto e basta». CAVALIER SPLEEN La tentazione di Berlusconi di mollare tutto e voltare le spalle all'Italia ingrata è risaputa: una sorta di spleen ciclico a schema fisso (il Cav si sfoga con gli amici, l'indiscrezione circola, i giornali fanno il conto delle mega-ville di Silvio sparse per il mondo, lui smentisce dicendosi costretto a restare per il bene della collettività) che si presenta suppergiù ogni sei mesi. Stavolta, tuttavia, il salto di qualità è evidente. Lo è per il linguaggio, lo è per il tono, lo è per il contesto. Il Berlusconi che viene fuori dai brogliacci della procura pare la reclame dello sconforto, altro che sole in tasca: «Io no sto benissimo», si fa scappare, «sono senza forze». Non che la congiuntura sia favorevole. La mezza estate 2011 del premier assomiglia alle Paludi della tristezza della Storia infinita, dove ogni passo che fai ti leva un po' di voglia di fare quello dopo: la mega-multa da pagare a De Benedetti («Venticinque anni di lavoro mandati in fumo, una rapina basata sul nulla, basata su due giudici talebani di sinistra», la definisce il Cavaliere intercettato), Bossi che si diverte a girare sulla graticola il povero deputato pidiellino Alfonso Papa, la procura di Palermo che vuole processare il ministro Saverio Romano, i pm di Milano che torchiano Lele Mora, le prime turbolenze della manovra-bis, Bersani che invoca il governo tecnico. Ce n'è da fiaccare persino l'ottimismo di Silvio. Anche quando la conversazione tocca il caso P4, il Cav non si scuote più di tanto (tranne quando c'è da difendere Gianni Letta, «la persona più pulita e più onesta del mondo»): Bisignani (cui Lavitola riserva epiteti non dei più cortesi) «lo conosco da lontano e l'avrò visto una volta in vita mia, teneva rapporti con tutti e non ha mai fatto nulla contro di me», Adinolfi «non è nessuno» e, soprattutto, «da questa storia sono lontano cento chilometri, non mi interessa e non voglio interessarmene: di Letta sono sicuro, non al cento per cento ma al cento per mille (sic, ndr) e di tutto il resto non me ne fotte niente, capito?». Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. «Governare gli italiani non è difficile, è inutile», diceva Mussolini. E stavolta ti viene quasi da credere che il Cav si sia arreso al brocardo della Buonanima. «Cribbio, chi me lo fa fare?» lo senti dire nella tua testa e ti sembra già di vederlo, camicia a fiori e valigia in mano che sale la scaletta dell'aereo, saluta noialtri sfigatoni che ce ne restiamo qua e se ne parte alla volta di qualche paradiso terrestre per godersi il gruzzoletto faticosamente accumulato. Te lo vedi salutante e a dargli torto fai anche fatica: perché tu, a parità di estratto conto e portafoglio immobiliare, ai Caraibi avresti già preso pure la cittadinanza, altro che stare qui a sacramentare tutto il giorno con gente che, chi in un modo chi un altro, chi per un motivo chi per l'altro, sempre a fregarti mira. "IO RESTO QUA" Poi però succede che i giornalisti lo blocchino all'uscita del vertice sulla Libia all'Eliseo. E che lui prima ripeta che «è una fantasia dei pm», che lui ha «dato una mano a una famiglia con figli come avviene con una miriade di persone, perché me lo posso permettere». Ma soprattutto che spieghi che «a tarda sera» al telefono certe cose si dicono «magari con un sorriso o in modo paradossale». E, ancora più soprattutto, che scandisca forte e chiaro che lui rimane in Italia, «per cambiare questo Paese che ho definito in un certo modo». Inizia con «l'Italia è il Paese che amo», e non è ancora finita. Il Berlusca resta qua, ché c'è un sacco di lavoro ancora da fare. Per tirare i remi in yacht c'è sempre tempo e se i soprammobili della villa di Antigua accumuleranno un altro po' di polvere, pazienza. di Marco Gorra

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