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Come risparmiare 2,5 miliardi con le pensioni? Ecco la strada

Strade alternative. Sul tavolo c'era l'idea di una riforma che toccasse assegni femminili e di anzianità, poi però è stata archiviata

Andrea Tempestini
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Almeno ci avevano provato. Prima di sfoderare dal cappello la rovinosa soluzione di eliminare dal calcolo pensionistico il riscatto di laurea e servizio militare, il governo aveva immaginato nei giorni più caldi di agosto una serie di interventi più diretti sulla spesa pensionistica. Sia il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che quello dell'Economia, Giulio Tremonti, avevano chiesto agli staff e agli uffici tecnici di simulare sui conti dello Stato l'adozione di misure di contenimento della spesa previdenziale. A pochi giorni dal vertice di Arcore i ministri avevano in mano due dossier che inspiegabilmente proprio all'ultimo sono stati riposti nelle proprie cartelline. Il primo era sull'innalzamento più rapido dei requisiti per ottenere la pensione di anzianità, portando l'istituto alle stesse caratteristiche oggi vigenti nei pochi Paesi europei che la prevedono: età vicinissima alla pensione di vecchiaia, con meno contributi necessari. L'ipotesi aveva fondamento politico, perché fu la stessa Lega Nord con Roberto Maroni al ministero del Lavoro, a prevedere una rapida successione di scalini e scaloni per la chiusura delle pensioni di anzianità, anche se poi le regole effettivamente varate furono poi stravolte dal governo successivo di Romano Prodi con Cesare Damiano al posto di Maroni. L'ipotesi presa ora in considerazione era quella di alzare dal 2012 a quota 97 per i lavoratori dipendenti e a quota 98 per quelli autonomi i requisiti minimi per ottenere la pensione di anzianità. In entrambi i casi con 36 anni di contributi ed età minima di 61 anni per i dipendenti e di 62 anni per gli autonomi. Dall'anno successivo i requisiti contributivi sarebbero restati gli stessi (36 anni), e l'età ogni anno alzata di un altro anno fino a raggiungere i 64 anni per i dipendenti dal 2015 e per gli autonomi dal 2014. Secondo i calcoli dei tecnici la misura avrebbe offerto un risparmio per i conti pubblici di 385 milioni di euro nel 2013 e di 973 milioni di euro nel 2014 (anni della attuale manovra), per poi salire sopra il miliardo di euro nel 2015 e stabilizzarsi fra 1,7 e 1,8 miliardi di euro fra il 2018 e il 2020. Il secondo dossier riguardava l'accelerazione della parità previdenziale fra uomo e donna. L'Italia è già stata condannata dall'Unione europea per non avere adottato le misure necessarie in vigore in quasi tutti gli altri paesi. Nella manovra era previsto un percorso molto lungo e dolce di unificazione, un po' più veloce nel testo di emergenza varato ad agosto, ma non ancora in grado di offrire risparmi nell'arco della finanziaria. L'ipotesi che il governo ha fatto studiare dai tecnici è invece assai più rapida. Dal 2012 le donne avrebbero dovuto ritardare la pensione di sei mesi ogni anno. O - se si preferisce - di un anno ogni due. Nella prima versione della manovra si partiva dal 2015, nella seconda dal 2013, ma con gradini molto soft: 3 mesi con adeguamenti triennali. La nuova accelerazione avrebbe offerto una riduzione della spesa previdenziale di 267 milioni di euro nel 2013, di 904 nel 2014, di 1,3 miliardi di euro nel 2015, di 2,170 miliardi di euro nel 2016 fino ad arrivare a 3,9 miliardi di euro nel 2020. Cifre molto consistenti e soprattutto strutturali, parolina magica ben compresa da investitori internazionali e dai mercati. Se invece del pasticcio su università e militari si fossero varate linearmente le due norme su previdenza femminile e pensioni di anzianità, pur con un cambiamento delle regole abbastanza soft e scaglionato negli anni si sarebbero ottenuti 2,5 miliardi di euro di risparmi anche nell'arco di tempo preso in considerazione dal decreto legge di agosto. Più di quelli che la relazione tecnica attribuiva al pasticciaccio brutto dei riscatti pensionistici ritirato in fretta e furia. Con la differenza che questo era una furbizia mostratasi poco furba per alzare l'età delle pensioni di anzianità senza dirlo. L'intervento vero non poteva essere preso sventolando lo slogan “non si toccano le pensioni”. Il fatto è che le pensioni devono essere toccate, perché i conti previdenziali dicono che bisogna correggere la rotta, visto che non sono in equilibrio. Il coraggio di esaminare l'ipotesi evidentemente qualcuno l'ha avuto. È mancato quello necessario a farla diventare emendamento alla manovra. Ma c'è ancora tempo... di Fosca Bincher

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