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Prendiamo Abatantuono e Polanski: inzia la kermesse delle polemiche

Tra cinema e politica: alta tensione. La laguna si popola dei mostri del cinema armati di ferraglia ideologica

Andrea Tempestini
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Consola sapere, in queste settimane di incertezza planetaria, che su qualcosa si può contare. I mostri della Laguna, veri protagonisti di ogni mostra del cinema che si rispetti, sono sempre lì, pronti ad accoglierti nel loro abbraccio amorevole. Oggi inagura con fiato di tromboni la 68esima rassegna cinematografara nostrana e si preannuncia un'edizione da brividi, con orde di cineasti schierate in prima fila a combattere battaglie politiche di tutto rispetto. Non a caso, l'apertura è affidata all'ambizioso Le idi di marzo di George Clooney. Poco importa che l'evento più atteso sia la sua sfilatina sul tappeto rosso  (chi lo accompagnerà? Magari qualche nuova fiamma?  Lo scopriremo presto, questione di ore). Il bel George, invero un po' appassito, si presenta con un film sulla politica americana, il quale trasuda - questa l'aspettativa - passione liberal. Infatti racconta l'odissea elettorale di un candidato del Partito democratico, e supponiamo che di repubblicani destroidi e cattivelli nel vedremo un bel po'. Chi non vedremo, invece, è l'ottimo Roman Polanski, sfortunatamente trattenuto all'estero da un piccolo guaio con la giustizia. Il regista che s'approfittò sessualmente di una ragazzetta in una bella villa hollywoodiana qualche decina di anni fa non potrà sedere alla prima del suo Carnage, ma ci aspettiamo che i suoi attori lo piangeranno, ricordando l'atroce supplizio che lo colpisce - proprio lui, così geniale - per il solo fatto di aver violentato una bimbetta. Vabbé. Quanto agli italiani, largo al consueto carrello dei bolliti in salsa rossa. A Marco Bellocchio, reuccio della cinematografia schierata a sinistra - verrà consegnato il Leone d'oro alla carriera e ci sembra sia il legittimo coronamento di una mostra che espone il meglio del buonismo progressista. Il tema strappalacrime più gettonato è l'immigrazione. In Terraferma di Emanuele Crialese vedremo suggestioni libiche, nel rapporto fra una donna meridionale e un'immigrata africana appena smontata dal barcone. Ogni riferimento a Lampedusa e alle politiche del centrodestra, allo «scellerato patto tra il nostro governo e Gheddafi, che istituzionalizzava la pratica del respingimento» (parole del regista,  è fortemente voluto. Ermanno Olmi illustrerà invece come i «veri ornamenti del tempio di Dio» siano gli immigrati accolti da un prete pugliese nella sua chiesa. Anche loro, ovviamente, previo transito in barcone. Infine, largo a Diego Abatantuono e alla sua caricatura dell'imprenditore leghista nel film Cose dell'altro mondo, in cui si immagina che accadrebbe in Veneto se sparissero tutti gli stranieri. Nella polemica politica ci si inciampa per forza: l'ottimo Diego ha concesso una lunga intervista all'Espresso in cui se la prende con chi fa politica in canottiera. Senza frasi del genere, dopo tutto, a Venezia nemmeno ti fanno entrare. Ciliegina sulla torta: il direttore Marco Müller ha pensato bene di invitare i baldi giovani che stanno occupando il Teatro Valle a Roma, per protestare contro i «tagli alla cultura» e altre ferraglie ideologiche di tal fatta. Son cose che ci riempiono il cuore: senza mostri, la Laguna non sarebbe la stessa. di Francesco Borgonovo

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