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Quando Penati faceva la predica al premier

Faccia di bronzo. Prima di finire nei guai, ad aprile, l'uomo di Bersani attaccava: "Silvio mai a processo". Con se stesso è più clemente

Andrea Tempestini
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«Si sollevano continuamente conflitti per impedire che il presidente del Consiglio vada ai processi. Che cosa aveva detto Berlusconi? “Andrò davanti ai giudici e gli dimostrerò, davanti a tutti gli italiani, che hanno torto, che le accuse sono infondate”. Ecco la verità che non si vuole far vedere: Berlusconi sta scappando a gambe levate, con ogni mezzo». La data è quella del 21 aprile 2011. Giuliano Pisapia non aveva ancora scippato a Filippo Penati lo scettro di paladino del centrosinistra in Lombardia. E in qualità di primo dei Democratici, l'ex sindaco di Sesto non poteva che sparare a palle incatenate contro Silvio Berlusconi, rivolgendogli lo stesso invito che in questi giorni mezzo Pd ha girato a lui: fatti processare. Inutile far ricorso a legittimo impedimento o prescrizione. Quella prescrizione cui Penati ieri ha finalmente promesso di voler rinunciare, ma solo alla fine delle indagini e chiedendo che nessuno del partito provi a forzargli la mano nelle scelte. Scelte che, se ne deduce, sono tutt'altro che irrevocabili. Eppure nel giudicare il centrodestra Filippo da Sesto non si era mostrato altrettanto garantista. Oltre al premier, negli ultimi anni aveva spesso affondato il colpo contro consiglieri e assessori Pdl indagati nelle giunte lombarde. A volte anche con uscite profetiche. Per esempio, per quanto riguarda alcuni casi corruzione a Milano (di entità infinitesimale rispetto a quanto i magistrati gli contestano oggi), il 18 febbraio aveva sentenziato: «In diversi casi sono stati gli imprenditori a denunciare e mi sembra che in un momento di crisi stia avvenendo l'esatto contrario di ciò che sostengono Bossi e Fini secondo i quali non c'è Tangentopoli perché gli imprenditori non hanno più soldi. Con la crisi si ribellano all'idea di pagare». Nella descrizione dell'imprenditore che si ribella al sistema delle mazzette qualche maligno potrebbe vedere il volto di Piero Di Caterina, grande accusatore del leader democratico dalle cui denunce sono partite le indagini della Procura di Monza. Tornando a Berlusconi, sempre quest'anno il leader Pd si indignava anche per un atteggiamento ritenuto poco corretto nei confronti della magistratura. «Solo negli ultimi tre mesi i casi isolatissimi di corruzione in Lombardia di cui parla Berlusconi sono stati ben tre e tutti e tre hanno visto protagonisti esponenti della destra. Non è girandosi dall'altra parte che si ristabilisce la legalità». E ancora: «voglio pensare che quando Berlusconi ha parlato di birbantelli non si riferisse alla Lombardia dove la situazione si sta dimostrando molto preoccupante». Anche in questo caso, forse, Penati aveva ragione. La situazione è sicuramente  preoccupante. Ma la responsabilità non è solo del centrodestra o dei «molti esponenti del Pdl che si sentono intoccabili e in questi anni hanno abbassato la guardia». D'altra parte, qualcuno potrebbe obiettare, nel suo caso il Pdl aveva tenuto la guardia tutt'altro che bassa.  Gabriele Albertini, per esempio,  da anni ripeteva che sulla cessione di Serravalle sarebbe stato opportuno indagare. Eppure nessuno - nonostante i ripetuti esposti in procura dell'ex sindaco di Milano - si era sognato di mettere il naso negli affari diretti dal Partito Democratico. Un fatto che, questo sì, potrebbe aver portato qualcuno a pensare di essere davvero un intoccabile. Ma Penati aveva la soluzione: «In Italia mancano delle norme contro la corruzione e credo sia arrivato il momento che il Parlamento legiferi». di Lorenzo Mottola

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