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Miliardari ma estremisti stile Fiom Solo i calciatori peggio della Casta

Ancora una volta i giocatori dimostrano di essere fuori dal mondo. I tifosi perà pensano alla crisi, non ai loro capricci

Giulio Bucchi
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La prima giornata del campionato di serie A salta, lo sciopero dei giocatori è ufficiale e la caduta nel ridicolo è tutta una questione di forme. Il grottesco trapela dalle foto di Damiano Tommasi, il presidente dell'Associazione calciatori, che si presenta davanti ai cronisti con la giacca e la camicia un po' spiegazzate, la mazzetta dei giornali sottobraccio, come un politico qualsiasi appena rientrato dalle ferie. E poi le sue parole: «Questa situazione imbarazza anche noi, non è nostro obiettivo non giocare, ma cominciare nel migliore dei modi. Credeteci, le abbiamo tentate tutte». Perché sono così mostruosamente simili a quelle pronunciate da Susanna Camusso della Cgil per giustificare lo sciopero generale del 6 settembre? «Sappiamo che stiamo chiedendo un sacrificio straordinario ai lavoratori, ma un sacrificio straordinario va chiesto di fronte ad una situazione straordinaria, e lo chiediamo oggi per non avere una condizione sbagliata domani».   Sostituite il termine “lavoratori” con “tifosi” e ritroverete la medesima pappardella scodellata da Tommasi. Il quale ribadisce, con toni e barba da caporeparto della Siemens anni Settanta: «Abbiamo fatto di tutto, ma Lega dice no a prescindere: cerca la rottura da un anno e mezzo». Eccolo qui, il delegato al consiglio di fabbrica, la guida politica dei calciatori protestatari di serie A: hanno un monte stipendi da un miliardo di euro e un bel giorno s'improvvisano combattenti per i diritti civili, come il ragionier Fantozzi quando l'impiegato Folagra, comunista di ferro, gli fa scoprire le teorie di Marx e quello se ne esce con un tragico: «Ma allora mi hanno sempre preso per il culo...». Solo che qui la presa per i fondelli è un'altra, ai danni degli italiani di buonsenso che si ritrovano - a fine agosto 2011 - titoli di giornali come quello di Repubblica di ieri: «È una crisi di governo», a commentare lo scontro tra i vertici della Lega, il Coni e i giocatori. E poi giù dichiarazioni da tutti gli esponenti del mondo pallonaro fulminati in un colpo solo dal sindacalese. Chi proponeva di pagare il contributo di solidarietà chiesto dal governo con un fondo speciale istituito dal Coni. Chi se la prendeva con i “gallianidi”, cioè i presidenti delle società di calcio che si comporterebbero da padroncini irresponsabili. La ferraglia linguistica da “estate di piombo” del pallone c'è tutta e mette una gran tristezza. Non c'è dubbio, i calciatori avranno anche le loro ragioni, le tasse sono eccessive per tutti e dunque anche per loro, benché ricchi e privilegiati. Non avranno tutti i torti nemmeno i proprietari dei club e i vertici delle varie istituzioni sportive: se bisogna pagare, seppur a malincuore e schiumando di rabbia, è giusto che paghino tutti, atleti compresi. Però speriamo che tutti loro si rendano conto di quale spettacolo caricaturale offrono. Fino a ieri i calciatori leggevano tutt'al più la velina, ora sembra che abbiano scoperto con trent'anni di ritardo Operai e capitale di Mario Tronti, senza notare che nel mondo qualcosa è cambiato nell'ultimo mezzo secolo. Ieri tutta Europa aspettava i risultati delle borse, ancora in negativo. Interi Paesi penzolavano dalle labbra di Ben Bernanke, il presidente della Fed. E mentre lui dipingeva oscuri scenari per la ripresa dell'economia, i mercati erano in altalena, politici e cittadini da una parte all'altra dell'oceano si domandavano che fine avrebbero fatto, se sarebbero stati ridotti in miseria, se avrebbero dovuto lavorare fino a ottant'anni prima di vedere una pensione minima o se sarebbero stati strangolati dal Fisco. Nello stesso momento, sulle pagine sportive, si poteva leggere di «contratti ponte» e di potenziale sciopero selvaggio destinato a durare mesi. Il fatto più inquietante, poi, è che i calciatori sono ragazzi di venti-trent'anni, gente che dovrebbe essere aliena a certe fumisterie ideologiche in stile Fiom. Invece in queste ore ricordano gli studentelli universitari e delle scuole superiori, quelli che appena sentono parlare di riforma della scuola scendono in piazza, berciano slogan più vecchi dei loro genitori e si gettano nella mischia credendo che la politica sia ancora quella dei movimenti di Mario Capanna. Solo che gli operai  gli studenti ribelli e i loro slogan non se li filano più da almeno un trentennio. Ci volevano i giocatori di pallone per riesumare la mummia novecentesca dell'astensione dal lavoro, un metodo su cui persino i più combattivi dei metalmeccanici cominciano a nutrire dubbi. Nel 2010, gli operai della Vinyls di Porto Torres, quando la loro azienda ha chiuso, invece di affidarsi alle rugginose tiritere sindacali hanno provato a inventarsi qualcosa di nuovo. Si sono installati all'Asinara e hanno messo in scena un reality, l'Isola dei cassintegrati, ripreso in tutto e per tutto dall'Isola dei famosi: così gira il mondo. I giocatori di pallone, invece - in piena crisi economica, col governo sotto pressione, la guerra in Libia, le borse a picco e sciagure di ogni genere che ci piovono in testa - scioperano. Non sono nemmeno stati capaci di imparare dalle loro fidanzatine soubrette, quelle che all'Isola dei famosi ci vanno davvero. E si fanno pure pagare. di Francesco Borgonovo

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