PartitoNoTax Recuperiamo subito 10 miliardi anticipando i costi standard della sanità
Dal 2013 con il metodo risparmieremmo 6 miliardi all'anno. Perché non farlo subito (e senza supertassa)?
Anticipare l'avvento della disciplina dei costi standard nella sanità. Che poi, in sostanza, significa uniformare su base nazionale i costi di forniture e prestazioni di Asl e ospedali, attualmente soggetti a incomprensibili oscillazioni a seconda della regione. E non si dica che questa sarebbe decisione politicamente etichettabile, ché non si capisce come si possa considerare di destra o di sinistra l'aspirazione a eliminare discrepanze inspiegabili, tipo il fatto - chessò - che un'ecografia cardiaca possa costare 33,5 euro in Toscana e fino a 57 in Veneto (dati dell'Agenzia per i fondi sanitari regionali), o che lo stesso antibiotico possa essere pagato 8,20 euro in Emilia Romagna e 12,9 in Abruzzo (come appurato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale). Tanto più che con la messa a regime dei costi standard, prevista per il 2013, si stima (studio Cerm) che si possano risparmiare fino ai 6 miliardi di euro l'anno. L'attuale Patto per la salute fra Stato e Regioni termina nel 2012, e - per l'appunto - l'anno successivo si cambia regime. Ma, vista la situazione, partire subito vorrebbe dire risparmiare da subito: se in teoria si cominciasse da oggi, da qui al 2013 vorrebbe dire quasi dieci miliardi. Che non sarebbe neanche male. PROFONDO ROSSO Le Regioni, in questo senso, si girano dall'altra parte. La sanità rappresenta in media il 73 per cento dei loro bilanci complessivi, e sono addirittura dodici quelle alle prese con dolorosi piani di rientro, visti i deficit accumulati negli anni e ormai insostenibili - sul Lazio pesa un rosso sanitario che supera il miliardo, la Campania arriva a 495 milioni. E anche se il disavanzo complessivo del settore, per le casse statali, è per la verità sceso - dai 3,25 miliardi del 2009 ai 2,45 del 2010 -, è acclarato che il capitolo sanitario sia uno di quelli su cui agire con decisione, per eliminare sprechi e inefficienze che soffocano l'economia del Paese. Perché anche quelle assurde differenze tariffarie, spesso irresistibile ispirazione per le inchieste giornalistiche sulla mala amministrazione sanitaria, diventano emblema di un Paese che non riesce - non vuole? - a finalmente disciplinare la spesa pubblica, nonostante il debito ci stia letteralmente divorando. Cioé: ma com'è possibile che la stessa attrezzatura per la Tac - lo stessa! - venga pagata 1.027 euro dalle strutture emiliane e 1.554 - più di 500 euro in più - da quelle campane? E per quale motivo la stessa protesi coronarica per biforcazioni - la stessa! - costa 205 euro agli ambulatori pubblici piemontesi e 214 a quelli toscani e invece 450, più del doppio, a quelli sardi? E perché, come rimarcato da un'inchiesta di Altroconsumo, in Puglia i principali esami di laboratorio costano mediamente il 56 per cento in più che in Emilia Romagna, mentre le visite specialistiche in Piemonte sono più care dell'82 per cento rispetto all'Umbria? LISTINI OSPEDALIERI Senza contare che questo disordine tariffario, che spesso nasconde clientele più o meno confessabili o anche solo parossistiche incapacità di gestione, porta a incongruenze sbalorditive: e dunque in Campania, a fronte del suo bilancio in rosso perenne, un elettroencefalogramma si può pagare 10,7 euro (ancora dati Agenas), mentre in Toscana s'arriva a sborsarne 33,5. Mentre è difficile capire come ingessarsi un dito nelle Marche (5,8 euro di costo) sia così diverso che in Emilia (8 euro). E una radiografia al torace effettuata in Abruzzo (15,49 euro) possa costare quasi la metà dello stesso esame e però eseguito in Friuli (27,90). Che poi è un discorso piuttosto superficiale, quello secondo cui questa declinazione del federalismo fiscale vada necessariamente ad assoluto sfavore delle regioni del sud - molte di queste hanno più volte chiesto l'allentamento dei vincoli proprio nel nome dello sforzo che stanno facendo per rientrare dal deficit, e però somiglia tanto a una forma di assistenzialismo equo-solidale, mentre d'altro canto anche le regioni a statuto speciale del nord temono di perdere privilegi non più sostenibili e perciò anch'esse mugugnano. Resta il fatto che, per dire: proprio la Commissione per l'attuazione del federalismo, che da quasi due anni spulcia i bilanci delle autonomie locali, ha elaborato una simulazione sulla base di criteri del tutto ufficiosi, e per l'appunto considerando i costi standard sarebbe stata la Sicilia che più di tutte avrebbe beneficiato di maggiori trasferimenti. Non che questo significhi automaticamente l'azzeramento tout court dei debiti, intendiamoci. Ma la speranza è che prima o poi ci si arrivi. Ecco, il punto è proprio questo: se si può, meglio prima. di Andrea Scaglia