Se dollaro e franco svizzero affamano il mondo intero
La valuta Usa affossa i giganti tecnologici nipponici. Est Europa non sa come pagare i mutui stipulati con la moneta elvetica
Che cosa possono avere in comune un operaio polacco, un impiegato delle poste di Budapest e un gestore di un locale chic della spiaggia più chic di Francia? Niente,a prima vista. Ma in realtà tutti e tre hanno avuto l'infausta idea, negli anni buoni, di fare un mutuo in franchi svizzeri, allettati dai tassi di interesse, da sempre i più bassi, della valuta elvetica. Ma, ahimè, la crisi globale ha cambiato le carte in tavola. E così il comune di Saint Tropez rischia di pagare l'anno prossimo il 30 per cento di interessi sul prestito di quasi 7 milioni di euro. Una bella mazzata che si tradurrà in tasse locali salate per i residenti e gli ospiti Vip. Chissà come la prenderanno i due Paperone di Francia, ospiti assidui di Saint Tropez: François Pinault, tra l'altro proprietario di Gucci, che d'estate ospita Jacques Chirac e il “nemico” Bernard Arnault, fresco proprietario di Bulgari, il cui figlio si diverte a fare il dj nelle discoteche popolate da modelle russe od ucraine che, almeno per ora, non hanno aggiornato il tariffario in valuta elvetica. Assai più salata, però, rischia di essere la bolletta per migliaia di cittadini dell'Est Europa che, al pari di città e governi, sono ancora indebitati in franchi svizzeri. Certo, dopo la grande paura del 2008/09, quando l'impennata del franco minacciò di far saltare in aria i bilanci di centinaia di migliaia di famiglie dell'Est (e, di riflesso, i conti delle banche austriache), la situazione è un po' cambiata grazie agli accordi (vedi la sanatoria per le banche più esposte) con i creditori, ivi compreso Unicredit. Ma l'instabilità delle valute, a partire dalla forza del franco che nemmeno gli gnomi di Zurigo sanno come fermare, è destinata a provocare dolori un po' per tutta l'Europa. Sulle rive del Danubio, in particolare. Non a caso il governo ungherese ha già messo a punto un piano d'emergenza: chi ha un mutuo in franchi può “congelare” il tasso di interesse per tre anni. La differenza la pagherà più avanti, accendendo un prestito in fiorini su cui, però, pagherà interessi aggiuntivi. Il salasso, insomma, ci sarà comunque. E, per giunta, rischia di protrarsi nel tempo, a tutto danno dei consumi e della ripresa che si allontana sempre più. Chissà perché non mi hanno proposto un prestito in dollari, si sta chiedendo Jean Pierre Tuveri, il sindaco di Saint Tropez che rischia di esser lapidato dai 5.444 abitanti della perla del Midi. Forse perché, a giudicare dalle disavventure borsistiche delle banche francesi, i finanzieri parigini sono stati colti impreparati da questa tempesta delle valute, la più violenta da una generazione. O forse più. Prendete il rapporto di cambio tra yen e dollaro: la moneta del Sol Levante, nella serata di venerdì, ha toccato a quota 75,93 il record assoluto dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Per la disperazione degli esportatori di Tokyo, elettronica in testa, che dipendono dagli acquisti di americani ed europei. La Banca del Giappone ha già tentato di affondare la propria moneta con acquisti massicci di dollari. Ma la Pearl Harbour alla rovescia non ha sortito effetti. Così come le operazioni della banca centrale di Berna che, pur di frenare la corsa del franco che sta compromettendo il turismo e una bella fetta dell'industria, sta accarezzando l'idea di agganciare la moneta all'euro su cui ha guadagnato un buon 15 per cento di valore negli ultimi sei mesi. Per la gioia dei frontalieri,gli unici che possono guardare con soddisfazione ad un'estate pazza e terribile, in cui la corsa al bene rifugio fa sì che le obbligazioni franchi siano precipitate ad un valore negativo. Sembra assurdo, ma, pur di rifugiarsi nel franco, si accetta di pagare un coupon per il parcheggio, invece di chiedere un interesse. Intanto, Saint Tropez e il nostro impiegato delle Poste di Budapest rischiano di restare in bolletta per far fronte alle rate del mutuo. L'unica consolazione è che, a lungo andare, il cambio forte può essere un bel guaio: ne sa qualcosa il Brasile che, dopo anni di corsa del real “drogato” dall'afflusso di dollari a caccia di alti rendimenti, oggi rischia la recessione: i suoi prodotti sono troppo cari per essere esportati mentre l'afflusso di denaro fresco ha trasformato San Paulo in una delle città più care del pianeta. A danno della gente comune, la vera vittima di questa tempesta valutaria che porta con sé nuovi venti di crisi. di Ugo Bertone