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Quando Karl Marx ed Engels sognavano di fare i comici

Il ritorno del romanzo 'da ridere' del giovane teorico del socialismo scientifico con le vignette dell'amico. Una farsa da tragedia

Andrea Tempestini
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L'unico ad accorgersene, già nel 1989, è stato lo storico Paul Johnson, nel suo Intellettuali (Longanesi), insolente analisi di una vasta galleria di “chierici-laici” che, dalla seconda metà del Settecento ai giorni nostri, hanno preteso di insegnare all'umanità come governarsi. Giunto al capitolo su Karl Marx, Johnson osserva che il filosofo di Treviri era «molto divertente». Aggiungendo che «gli storici prestano troppa poca attenzione a quest'ultima qualità, che spesso spiega un fascino altrimenti misterioso (era uno dei pregi anche di Hitler, sia in privato sia quando parlava in pubblico)». L'umorismo di Karl era «feroce e caustico, ma le sue battute spiritosissime facevano ridere chiunque lo ascoltasse».  Una anticipazione del suo sense of humour, Karl la fornisce già a 19 anni, nell'ottobre del 1837, con l'abbozzo (ma forse sarebbe meglio dire l'aborto) di romanzo umoristico Scorpione e Felice, dedicato al padre in occasione del suo compleanno. Il libretto sarà pubblicato poi nel 1929, creando qualche imbarazzo tra i plumbei custodi dell'ortodossia marxista (che lo ignoreranno in seguito a bella posta) e viene adesso ristampato in Italia da Editori Riuniti (pp. 161, euro 9,9) con il corredo di alcune vignette satiriche dell'amico di sempre, Friedrich Engels, di un vecchio articolo di Claudio Magris (scritto nel 1968) e di una prefazione di Gabriele Pedullà. Inutile soffermarsi sul valore letterario (pressoché nullo) dell'operina, poco più di un'esercitazione del giovane Marx, al tempo infatuato dell'eccentrico Laurence Sterne, col suo popolare Tristram Shandy. Ciò che, a prima vista, colpisce  maggiormente è il contrasto tra il celebre volto da rabbino barbuto e corrucciato dell'autore che spicca in copertina e la natura scanzonata e surreale del testo. A voler scavare un po', tuttavia, si scoprono presto sorprendenti analogie, addirittura con Il Capitale, l'opera che contiene la summa del pensiero filosofico marxiano. Sarebbe stato lo stesso Karl maturo a scrivere che la Storia si ripete sotto forma di farsa. È il caso di dire che la sua farsa giovanile si incarnò storicamente in tragedia. Cominciamo dalla struttura stessa di questo tentativo di antiromanzo che, già imitando il Tristram Shandy, critica la società berlinese ottocentesca, i suoi miti e le sue logiche sociali. La storia - come nota Pedullà - è costruita con la tecnica delle scatole cinesi e con continui rimandi. Non esistono capitoli. Per esempio, si inizia dal decimo facendo riferimento al nono che non c'è, al pari di tutti gli altri...  Ora, fu lo stesso Louis Althusser, uno fra i più autorevoli filosofi marxisti del Novecento, a ritenere la struttura de Il Capitale così intricata, da proporne una lettura parziale (precisamente «a partire dal quarto capitolo della seconda parte, ignorando del tutto la prima»). In realtà, in pochissimi sono riusciti a leggere l'opera (rimaneggiata e riscritta da Engels) per intero e va detto che essa manca di un soggetto centrale, di un generale principio organizzatore. Proprio come Scorpione e Felice... Il che, per un sistema che si pretenda scientifico, appare singolare. Uno dei punti salienti di Scorpione e Felice è  la critica del linguaggio accademico, con la sua ampollosa retorica: sull'etimologia di un nome il giovane Marx si dilunga apposta esageratamente. Ma Marx, da grande, sarebbe diventato un accademico mancato, un rancoroso professorone in pectore che vuole stupire il mondo fondando una nuova filosofia scientifica: lo scolaro di Hegel che capovolge la dialettica hegeliana. Se in pochi - anche tra i parlamentari sedicenti marxisti - hanno letto Il Capitale, è soprattutto per la complessità della scrittura...  Lo scritto giovanile attacca anche la religione, anticipando noti temi marxiani, e mette in ridicolo l'idealismo del tempo. I problemi intestinali del cane Bonifacio, ad esempio, si risolveranno con un enteroclisma, stabilendo un intimo, ironico rapporto tra ostruzione delle viscere e profondità delle idee. Più in generale, i sentimenti dei protagonisti  - Merten il sarto, suo figlio Scorpione, il lavoratore Felice, la cuoca Greta, preda di fantasie erotiche - vengono tutti ricondotti a problemi fisici, anticipando il materialismo storico. Divertente, certo.  Ma se qualcuno, dotato di particolare preveggenza, dietro quel  giovane ribelle, avesse potuto scorgere il Karl oggi noto, avrebbe certo reso un grande servizio all'umanità intera, apostrofandolo con la celebre battuta di Groucho, il Marx che personalmente preferisco: «Signore, io non dimentico mai una faccia. Ma, nel suo caso, sono disposto a fare un'eccezione...». di Felice Modica

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