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Barricaderi Ostellino con il partito No-Tax: "Contro questo fisco disertiamo le urne"

L'ex direttore del Corriere: "L'astensionismo è l'unica strada per contrastare un sistema che sottrae il 50% dei redditi"

Andrea Tempestini
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Diceva John M. Keynes (interventista, ma non nel senso di Colbert, né di Tremonti né di Robin Hood) che, in fondo, “sfuggire alle tasse è l'unica impresa che offra ancora un premio”. In senso lato, potrebbe essere d'accordo anche lei, caro Piero Ostellino. Lei che è liberale in senso genetico, lei che da direttore del Corriere della sera, chiamò come editorialista proprio Giulio Tremonti? «Sulle tasse mi viene in mente quest'idea di prelievo sui capitali scudati. Un sondaggio di Sky afferma che per il 90% degli italiani è assolutamente giusto farla. Ma questo sa cosa significa? Non solo la rottura di un patto, ma soprattutto la distruzione del principio della certezza del diritto. Totale» Le potrebbero obbiettare che in stato di estrema urgenza e necessità il principio può essere derogato. «Certo. Ma le ricordo che accadde un'altra sola volta nella storia del Paese, nel '22. Vogliamo ritrovarci nelle stesse condizioni che favorirono l'ascesa del fascimo?» Per carità. Nei suoi ultimi editoriali lei ritiene la tassazione in sè un restringimento della libertà di mercato, un disincentivo per gli investimenti. Conferma? «Io appuro che siamo, con la Francia, il Paese col più alto livello di pressione fiscale. E che questo governo prima di mettere le mani in tasca ai cittadini avrebbe dovuto dire come stavano le cose. Il vero problema è che la fame di costruttivismo  nei processi di politica economica pubblica ha impedito la realizzazione della cosiddetta “società aperta”» La “società aperta” di Popper... «La società aperta teorizzata soprattutto da Popper prevede che lo Stato fornisca solo le regole del gioco (meno regole possibili), perché i giocatori giochino come gli pare, a patto che non si facciamo del male fra loro. Bene, questa “società aperta”, di mercato, era quella che Silvio Berlusconi aveva promesso nel '94, ma che ad oggi non ha realizzato. Lo Stato è sull'orlo del disastro ma non c'è andato da solo, ce l'hanno portato» Solo fino a tre mesi fa i suoi pezzi sul Corriere della sera non erano di altro tono? Più condiscendenti verso Berlusconi. Cos'è cambiato? «In questi tre mesi ne ho viste davvero di tutti i colori; quando io sento il presidente del Consiglio dire “passerò alla storia come il salvatore dell'Italia e dell'unità dello Stato”, io rimango interdetto e sottolineo: ma dov'eri tu quando lo Stato andava a rotoli? Va bene l'autostima e la consapevolezza di sé, ma bisognerebbe avere un po' di misura, non crede?» Dicono che Berlusconi sia sottoposto da un lato ai ricatti della Lega, dall'altro alla pressione di Tremonti. «Io non entro nel merito dei giochi dei partiti. Io guardo, semmai, da più in alto» E da più in alto cosa vede? «E vedo che soltanto tre mesi fa il ministro dell'Economia aveva detto che il sistema previdenziale italiano era il più solido e sicuro d'Europa; ma solo ieri Bossi ribadiva che “senza la manovra non avremmo avuto le pensioni”. Che almeno si mettessero d'accordo. Ma vede, il problema non è tanto la crisi finanziaria, quanto la spaventosa crisi culturale del Paese» Culturale in che senso? «Ora emerge che tutto quello che ci hanno raccontato sullo Stato sociale, sul controllo dei conti pubblici era un'enorme balla. E io capisco che questa tesi venisse appoggiata da intellettuali ex Pci , cioè da gente che per settant'anni ha cercato di convincerci del fallimento dello Stato liberale e che il comunismo era il migliore dei mondi possibili. Questi io li capisco. Ma se la stessa tesi viene appoggiata da intellettuali non comunisti che sono ancora in circolazione, mi chiedo se costoro fossero stupidi o mascalzoni» E quindi? «E quindi cosa?» E quindi i tartassati incavolatissimi, i cittadini oppressi cosa possono fare? «Ben poco, ad onor del vero» Andiamo bene... «Vede, credo che qui si stia verificando ciò che Jean Jacques Rousseau diceva della democrazia inglese: “Gli inglesi sono liberi quando vanno a votare , tornano schiavi il giorno dopo”. Ecco, noi siamo a questo livello. Sia che comandi la destra sia la sinistra, la politica finanziaria è la stessa da anni. Siamo sempre più fagocitati dallo stesso Stato che ci strangola; uno Stato che ci sottrae il 50% dei redditi lei lo chiama liberale?» Quindi la sua soluzione sarebbe il rigetto dello Stato? «Non “dello Stato” -io rimango un liberale-, ma di questo tipo di Stato. D'altronde si sono capovolti i capisaldi del liberalismo: è lo Stato che ora ci costringe ad essere al suo servizio, quando dovrebbe essere esattamente il contrario. Da qui la necessità delle riforme» Lei parla di “cura dimagrante” dell'apparato pubblico. «Esatto. a) riduzione della spesa pubblica; b) riforma della giustizia civile: oggi per avere il risarcimento di un credito ci vogliono secoli, ed è uno dei motivi per i quali gli stranieri non ci pensano neppure ad investire in Italia; c) la semplificazione amministrativa che riduca il numero degli adempimenti burocratici, compreso il pagamento delle tasse che costano alla piccola e media impresa 16,2 miliardi l'anno. In più serve la semplificazione normativa, che riduca il numero di leggi dello Stato e di regolamenti degli Enti locali: facilitano la diffusione della corruzione. È accaduto con la legge Bassanini: prima si doveva liberalizzare, e solo dopo privatizzare» Be', il ministro Calderoli, sulla semplificazione afferma di aver sforbiciato parecchio. «Evidentemente il ministro non ha fatto abbastanza» Poi ci sono gli sprechi... «Quelli sono una nostra tipica matrice: nella Sanità, nella Pubblica amministrazione, nella Scuola, nella Giustizia, soprattutto al Sud, non si contano. Ovvio che poi del basso livello politico, gli italiani nel migliore dei casi si sono stufati, nel peggiore infuriati» E quindi... « E quindi, da qui, per i cittadini, ecco la soluzione estrema: essendo noi nelle stesse condizioni di Rosseau è necessario che alle prossime elezioni ci sia un astensionismo almeno del 70%» Il nostro sistema elettorale non prevede un quorum (ma potrebbe essere un'idea...). Servirebbe? «La rabbia silenziosa sarebbe un segnale politico fortissimo». intervista di Francesco Specchia

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