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E anche Silvio si è pentito: "Così tradisco me stesso"

Il Cavaliere: "Manovra da rifare, vengono meno le ragioni stesse della mia discesa in campo". L'esecutivo studia la strategia

Andrea Tempestini
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«Questa manovra si riscrive o ce ne andiamo tutti a casa, compreso tu». Il premier ha accolto così Giulio Tremonti, che ieri ha fatto un insolito salto a palazzo Grazioli nel week-end di Ferragosto prima che Silvio Berlusconi si involasse per la Sardegna. Lui lo ha accolto col sorriso sulle labbra, «ma non scherzava affatto», assicura uno dei presenti. Insomma, il Cavaliere non ha chiuso occhio ieri notte sul decreto anti-crisi che gli fa «grondare il cuore di sangue». Ha provato a mandar giù tagli, sacrifici e contributi di solidarietà. Ma non ce l'ha fatta. «Con questa manovra noi rinneghiamo noi stessi, la nostra storia, la nostra identità politica», si è sfogato ieri mattina di buon'ora al telefono con un ministro. «Vengono meno le ragioni stesse della mia discesa in campo», ha gridato con il pensiero rivolto al suo mantra di una vita (politica): «Non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani». E ora che invece il suo governo rischia di sfondarle quelle tasche, lui non ci sta a metterci la faccia. O almeno, non ci sta a mettercela da solo. Infatti il premier intende usare l'appello di Giorgio Napolitano alla responsabilità dell'opposizione per coinvolgere Pd, Idv, Fli e Udc in «questa sporca operazione», per spalmare su tutto l'arco parlamentare la responsabilità della manovra bis. Appello che il Capo dello Stato ieri ha rilanciato, subito dopo aver emanato il decreto urgente, richiamando maggioranza e minoranza a un confronto aperto e responsabile in Parlamento. Il premier, non a caso, ha voluto rivelare pubblicamente di aver avuto «contatti con l'opposizione» e di aver «tenuto conto» dei desiderata del centrosinistra nello stilare il decreto. Per questo dice di non temere scossoni in aula. Ma Berlusconi farebbe un patto anche con il diavolo pur di cambiare la manovra. E conta sui suoi parlamentari, i fedelissimi del Pdl, per correggere il decreto con emendamenti che allegeriscano la pressione fiscale. Però, siccome per il Cav fidarsi è bene e non fidarsi è meglio, ha lanciato un avvertimento ai Bersani, ai Di Pietro e ai Casini: «Quando la manovra sarà conosciuta in tutte le sue parti ci dovrà essere per forza un giudizio positivo», ha detto ai cronisti. «Li voglio vedere, quelli dell'opposizione, a votare contro i tagli e le riforme che ci ha chiesto la Bce», ha sibilato al telefono con un suo consigliere. Ed è proprio l'Europa che chiama in causa per giustificare il drastico giro di vite: «Gli interventi sono stati imposti dalla situazione internazionale», ha spiegato ai giornalisti, «c'è stato questo intervento della Bce e qualunque governo si sarebbe trovato a dover dare una risposta come la nostra». Ci tiene il Cav a mostrare, soprattutto a Tremonti, che è lui a tenere le fila dei rapporti con i grandi dell'Europa, dei quali ha snocciolato la lista davanti ai taccuini. «Stamattina ho avuto una lunghissima telefonata con la signora Angela Merkel, poi ho parlato con il presidente del Bce, Trichet», dai quali ha detto si aver ricevuto «grande apprezzamento». E ha in programma altre telefonate: «Con Van Rompouy, con Sarkozy e con altri tra stasera e domani». Che il decreto proprio non gli piaccia, Berlusconi lo ha ammesso apertamente davanti ai microfoni quando ha detto che «tutti gli atti di governo risentono del fatto che si deve arrivare a un compromesso e quindi è chiaro che ciascuno ha dovuto accettare le posizioni dell'altro: chi sulle pensioni, chi sulla patrimoniale». E guai se il decreto anti-crisi passasse in Parlamento così com'è stato varato dal Consiglio dei ministri. «Piuttosto mi dimetto», ha giurato il presidente del Consiglio a uno dei suoi parlamentari più quotati nel partito, «perché questa manovra sarebbe la mia sconfitta politica». Ma per il momento, a ritirarsi dalla scena Berlusconi non ci pensa proprio. E probabilmente neanche al prossimo giro elettorale. Interrogato sull'eventualità di una ricandidatura, infatti, il Cav risponde: «Mi auguro che non sarà necessario, ma se lo sarà non mi tirerò indietro». Quindi non è detto che il candidato premier nel 2013 sarà Angelino Alfano, come Berlusconi ha lasciato intendere in più di un'occasione. Ma adesso il suo chiodo fisso è «cambiare la manovra». Con buona pace di Tremonti, che ieri, al cospetto di Gianni Letta, Paolo Bonaiuti e Maurizio Sacconi, ha dovuto chinare la testa, sulla quale sente pendere la spada di Damocle di un turnover al ministero dell'Economia a settembre. Anche se nel Pdl alcuni sostengono che sia lui a volersi dimettere. Il Cav ha ammesso che «ci sono state delle contrapposizioni di vedute». Ma intanto è costretto a intervenire per far cessare le voci, e giura: «Arriveremo insieme alla fine della legislatura». di Barbara Romano

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