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Uk, teppisti come piccoli Lenin Le allucinazioni della sinistra

Dal 'Fatto Quotidiano' a 'Liberazione' è una gara a tratteggiare come delle vittime gli autori di devastazioni e furti ad Albione

Andrea Tempestini
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La vita dell'editorialista, nel chiuso della redazione è monotona, priva di emozioni forti. Uno si consola come può, raccattando scampoli d'eccitazione qua e là. Alle grandi firme dei quotidiani di sinistra non sembra vero di  assistere a una rivolta come quella di Londra,  si son salvate un'estate altrimenti destinata a marcire nella noia. Sentono di nuovo il profumo afrodisiaco dei lacrimogeni e della auto bruciate, che a chiunque farebbe venire il vomito, ma a loro ricorda i primi amori, i giorni felici del maggio francese, in cui  limonavano le compagne nelle università okkupate. Sul Fatto Paolo Flores d'Arcais sembra quasi dispiaciuto di non trovarsi nei dintorni di Brixton per menare le mani. La visione dei ragazzotti incappucciati che spaccano vetrine, assaltano la polizia (e qualche volta rimangono stecchiti sul campo) lo manda in sollucchero: «La loro rabbia è sacrosanta», scrive. Essa è figlia del «furore contro una disuguaglianza che ha travolto ogni umana decenza». Quale autorità hanno i poliziotti corrotti di Scotland Yard e il perfido Cameron - «mallevadore e beneficato» dagli scandali dei giornali spioni di Rupert Murdoch - per sostenere che si tratta di criminali comuni? Vorremmo evitare di frantumare brutalmente l'infatuazione di Flores, dunque ci affidiamo per replicargli al dolce Massimo Gramellini, esperto di problemi di cuore. Il quale, pur di sinistra, scrive sulla Stampa a proposito del “Rivoltoso londinese tipo”: «È una povera vittima, un relitto disperato dalla nostra società opulenta, come vorrebbe certa sociologia?». Un corno. Il rivoltoso in questione è un «teppista griffato», il cui unico pensiero è quello di sfasciare un negozio e fregare il capo firmato, le scarpe Nike, lo smart phone ultimo modello. Egli, dice Gramellini, «reclama soltanto l'accesso agli status-symbol della pubblicità». Ancora più diretto è Adriano Sofri - uno che di ribellioni di popolo ha qualche esperienza - il quale scrive su Repubblica: «Fare la spesa è il solo comandamento universale». Lo vada a dire all'esaltato Flores d'Arcais, secondo cui i teppisti di Londra sono vittime della «opulenza sempre più sfacciata» dei pochi potenti. Ma la penna rovente del Fatto è in ottima compagnia. Alessandro Dal Lago, studioso di vaglia, su Liberazione è al settimo cielo: «Nella forma elementare e prepolitica del saccheggio, si tratta di lotta classe», sentenzia. Secondo me, veramente, si tratta di una forma elementare e pre-politica di arraffo. Per Dal Lago, invece, i giovinastri prendono di mira «Sony, Foot Locker e McDonald's, le gioiellerie e i grandi magazzini. Cioè i simboli tangibili dell'opulenza». E ridagli con l'opulenza.  Più che combatterla, questa opulenza, i rivoltosi hanno tutta l'aria di volersela accaparrare. Son così ostili ai feticci del capitale che  bramano più di ogni cosa la felpa col marchio. Vogliono la «roba», come si diceva una volta. I novelli sessantottini inglesi sono   peggio dei borghesi codini che i gloriosi editorialisti della sinistra italiana combattevano da giovani. La «roba», i borghesucci di un tempo, se la pagavano. Questi  la sgraffignano. Ma niente, i commentatori nostrani sono troppo eccitati per rinunciare alla lettura marxiana. Marco D'Eramo sul Manifesto   si sente Foucault e spiega che i disordini sono una ribellione a un «ordine che li disciplina, li sorveglia (e li punisce)». L'Unità chiama in causa i tagli al welfare, il fallimento della Big Society. Sai che gliene frega, al “rivoltoso inglese tipo”. Il quale, se si trova un Flores d'Arcais pronto a spiegargli, munito di megafono, perché è giusto ribellarsi all'opulenza capitalista, probabilmente lo prende a calci nel didietro. E se si rovina le Nike nuove fiammanti, fa lo stesso: tanto poi spacca una vetrina e ne ruba un altro paio. di Francesco Borgonovo

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