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Pentiti "Silvio che fai, adesso mi riprendi?" Fini pentito va a cena con Berlusconi

Gianfranco e Silvio,, prove di disgelo: si sono incontrati qualche giorno fa e a breve un nuovo summit. Pensano a fronte comune

Andrea Tempestini
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Si sono già incontrati, a cena, qualche giorno fa, subito dopo quelle due strette di mano, cercate e non casuali alla Camera in occasione del discorso del premier, che sono l'argomento sussurrato vero della dolorosa politica di crisi agostana. In una Camera incredibilmente popolata, almeno fino alle cinque del pomeriggio quando si chiudono gli uffici (si vede che non vogliono rischiare che i nostri parlamentari lavorino troppo), un politico che le cose le sa perché le ha viste ci conferma che torneranno a cenare insieme forse già domani, forse in Sardegna, e nel giro di qualche settimana gli effetti della pace si vedranno. Il primo ha bisogno di tornare alla struttura solida di maggioranza del tempo che fu per affrontare la tempesta economica e il varo di misure che rischiano l'impopolarità diffusa, il secondo ha fallito nel progetto di spallata, ha verificato che il progetto di un Terzo Polo non decolla, teme di essere preceduto da Pier Ferdinando Casini, tutti e due sono pentiti e pronti a perdonarsi. Potete rubricarlo sotto il titolo sarcastico ed evocativo che preferite, «Che fai, mi riprendi»?,  o il ritorno del figliol prodigo, tanto tuonò che piovve, molto rumore per nulla, la situazione è grave ma non è seria, oppure potete accettare che politics is politics, specialmente ai tempi della peggior crisi economica mondiale che si potesse prevedere: fatto sta che Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sarebbero sul punto di siglare un accordo che ha del clamoroso, visti i toni, la durezza, le imboscate, che caratterizzarono un anno fa la rottura di un'alleanza che sembrava inossidabile. Tutto perdonato, dopo settimane, forse mesi, di un ordito faticoso tramato abilmente da alcuni uomini di Fli, come Alessandro Ruben, discreto esponente della comunità ebraica italiana e non solo, osservato con benevolenza da un superpotente del Pdl come Denis Verdini, che gradirebbe un ridimensionamento delle aspirazioni degli esponenti della vecchia An rimasti con Berlusconi, infine sancito su ordine del capo proprio dal falco numero uno, almeno del falco più esposto mediaticamente nella diaspora finiana, ovvero Italo Bocchino con la sua intervista inaspettata al Corriere della Sera. Che ci sia stato anche un intervento di Angelino Alfano non è confermato: il coordinatore sembrava più interessato a tessere il rapporto con Casini, e la semplice confidenza dovuta all'abitare nello stesso palazzo di Bocchino che affaccia su villa Borghese non è sufficiente, ma forse aiuta. Di più: l'ipotesi che un'Udc stanca della deriva a sinistra di Bersani e del Pd (destinata a peggiorare se non altro per pressione della Cgil in occasione della manovra), sia pronta a riavvicinarsi al governo potrebbe aver spinto Fini ad affrettare le mosse di riconciliazione. Quanto al premier, tra i due preferisce quello che conosce meglio. E i falchi irriducibili, i Granata, i Briguglio, le Perina? Peggio per loro, tutti al Fatto, e questa è la prima buona notizia certa in attesa di sapere se qualcuno dei Responsabili un tanto a posto di governo saranno anche loro messi da parte. Il popolo furibondo da una parte e dall'altra, gli scapigliati di Futuro e Libertà, esaltati dal mito della cacciata, arringati  contro il Cav dai Filippo Rossi, ma anche gli elettori del Pdl che si sono sentiti mortificati, insultati, umiliati dalle accuse di Fini? Ecco, a tutti loro, se davvero sigleranno una pace stabile, i due leader dovranno spiegazioni convincenti. Gli eventi conosciuti fino all'indiscrezione che abbiamo raccolto su una cena, anzi due, erano due strette di mano e un'intervista.  Non era sfuggito infatti lo scambio di cortesie della scorsa settimana, quando in occasione del discorso di Berlusconi a Montecitorio, Fini lo attese all'ingresso per stringergli la mano e accompagnarlo ai banchi del governo e il premier ricambiò a fine seduta aspettando che il presidente della Camera scendesse dal suo scranno per una seconda stretta di mano. Non una semplice formalità, visti i rapporti gelidi dell'ultimo anno, per tacere di quel 14 dicembre quando alla Camera Fini fu il regista del tentativo di sfiducia al governo. Ma da qualche giorno sono diventate quotidiane le dichiarazioni  di esponenti di primo piano dei due partiti, sulla necessità di «costruzione di un fronte unico per arginare la minaccia della crisi economica». Poi l'intervista al Corsera di Bocchino, incredibile per chi abbia seguito nell'ultimo anno l'escalation di attacchi riservati a Silvio Berlusconi e al governo, e  dunque significativa di una vistosa marcia indietro. «Noi di Fli su Berlusconi abbiamo già espresso il nostro giudizio. Auspicando, come si sa, un suo passo indietro. Ma visto che non ha alcuna intenzione di procedere in tale direzione, e considerato però che la nazione vive ore drammatiche, francamente non ci sembra il caso di continuare a litigare». «Noi rompemmo con Berlusconi per tre motivi. Uno: chiedevamo un coordinatore unico e al coordinatore unico, con Alfano, siamo arrivati, sia pure in ritardo. Due: chiedevamo che in politica economica non fosse dispensato un ottuso ottimismo, come alla fine sta accadendo. Tre: segnalavamo un appiattimento sulla Lega, problema che anche nel Pdl, in qualche modo, comincia ad emergere. Fini chiedeva tre cose, e tre cose, mi sembra, sono politicamente accadute». Non se la prenda Bocchino: gli argomenti sono risibili, la rivendicazione di una qualunque vittoria campata per aria, ma se sta bene a Berlusconi, buon appetito non si dice, buona fortuna sì. di Maria Giovanna Maglie

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