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Se Pisapia sembra Obama. Perché? Sono due illusionisti

Giuliano farà la stessa fine di Barack. Negli Usa e a Milano due venditori di fumo: c'è il fascino e l'arte oratoria. Ma i contenuti?

Andrea Tempestini
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Ciascuno ha l'Obama che si merita: noi ci dobbiamo accontentare di Pisapia. Se ci fermassimo alle apparenze, sarebbe arduo individuare somiglianze tra i due, ma il fisico non è tutto. Passati i sessanta, la tendenza alla pinguedine sul giro vita è quasi inevitabile e non è obbligatorio mostrarsi in costume da bagno, come faceva Albertini. Esibire un bel sorriso non è essenziale. Neanche la voce profonda e l'oratoria che affascina sono indispensabili. Un politico, come generazioni di democristiani hanno dimostrato, può benissimo fare a meno anche del sex appeal: i bruttini stagionati sono rassicuranti e non destano invidie (maschili) né desideri (femminili). Le analogie tra il presidente americano e il sindaco milanese sono tuttavia più profonde di quanto l'aspetto lascerebbe intendere. A sentirsi l'Obama italiano era stato in realtà Veltroni, non contento di aver voluto impersonare, in anni lontani, il Kennedy italiano e il Clinton italiano (prima Bill, poi Hillary). Pisapia si era invece ispirato  alla rivoluzione arancione  di Yulia Timoshenko, tanto da non provare  alcun imbarazzo per il fatto che il suo modello sia oggi detenuto nella patrie galere. Ma le circostanze, ben oltre la volontà individuale, hanno finito per accomunarlo all'inquilino della Casa Bianca.   Entrambi sono stati circondati da un'aura messianica: sarebbe toccato a loro cambiare il mondo e renderlo migliore. I salotti radical li hanno sostenuti con un entusiasmo prossimo al fanatismo. L'intellighenzia ha firmato appelli e manifesti; banchieri e locuste della finanza hanno stappato le loro bottiglie migliori. Feste di piazza e nei campi rom. Spira un vento nuovo, nel pubblico e nel privato: “Finalmente si può cantare l'amore”, sentenzia Vecchioni, e siamo certi che qualche suo omologo a stelle e strisce abbia detto lo stesso. Poi la realtà ha presentato il conto. Barak e Giuliano si sono mostrati per quello che sono: mediocri, indecisi, capaci di scontentare in ugual misura avversari e sostenitori. Promesse tradite, inconsistenza, programmi confusi quanto supponenti. Il presidente parla alla nazione e la borsa tracolla. Il sindaco scrive ai milanesi e impone nuove tasse. Il Nobel a lui ancora non l'hanno conferito. Forse è soltanto una questione di tempo. di Renato Besana

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