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Sciopero del calcio? Chi fa la bella vita non può frignare

Schierarsi dalla parte di chi guadagna bei milioni crea qualchi imbarazzo. Lottano per i più poveri? Una scusa che non regge

Andrea Tempestini
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Se proprio devo scegliere tra i calciatori e i presidenti di club e leghe, tra Totti e Lotito insomma, non ho dubbi: scelgo i campioni che ogni tanto ci fanno divertire e che - perdippiù - in questo caso hanno addirittura ragione. In un momento complesso come l'attuale, però, provo qualche imbarazzo a schierarmi dalla parte di chi guadagna milioni - e non venitemi a dire che stanno lottando anche per i colleghi più sfortunati e poveri: non regge. L'imbarazzo deriva dal fatto che - se non se ne fossero ancora accorti - il mondo è cambiato, innanzitutto quello del lavoro: oggi l'unico diritto effettivamente rivendicabile è quello dell'impiego, per cui la minaccia di uno sciopero formulata per una questione di principio non può essere condivisa - c'è un tempo giusto per tutto e inoltre il contratto collettivo ha una scadenza, non è a vita. Tutti noi lavoratori autonomi - ma anche tantissimi dipendenti - viviamo di e nella “precarietà”: oggi abbiamo un lavoro, domani non si sa. La differenza tra noi e loro, i professionisti del pallone, è facilmente indicabile e quantificabile: basta guardarci in tasca. Apprezzo lo sforzo che Damiano Tommasi sta producendo per legittimare il ruolo suo e quello dell'Aic - qualche ostacolo l'ha peraltro trovato in casa dal momento che è nato un sindacato parallelo, l'Anc che non ha nulla a che vedere con l'African National Congress -: naturale, poi, che gli girino visto che i presidenti hanno fregato prima Campana e poi lui (l'accordo era stato trovato). Aggiungo però che se c'è una categoria che in un momento così tormentato può e deve dare l'esempio di superiorità e buonsenso, quella è la categoria dei calciatori. Dai presidenti non mi aspetto più nulla di buono: i titolari della pizzeria da Adriano hanno fatto sempre i loro interessi. Tuttavia hanno un alibi: gestire una società di calcio non è come portare avanti un'azienda “convenzionale”. Le fortissime sollecitazioni esterne del mondo del pallone (stampa, tifosi e banche) inducono ripetutamente all'errore facendo perdere il lume della ragione anche a chi in carriera - non calcistica - ha collezionato successi. Le rose allargate sono uno degli effetti più negativi della confusione dei nostri dirigenti che adesso, trovatisi con le pezze al culo, vogliono condividere il rischio d'impresa con i loro stipendiati. Mi chiedo una cosa: come ha intenzione di muoversi Giancarlo Abete che dieci mesi fa riuscì a evitare il blocco del campionato facendosi garante degli interessi del calcio italiano e della gente? di Ivan Zazzaroni

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