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Chi sono i signori del rating? Un gruppetto di ragazzini

Ecco chi dà i voti ai debiti sovrani. Le tre sorelle (Moody's, S&P's e Fitch) tra conflitti di interesse e operatori con poca esperienza

Andrea Tempestini
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Ormai è assodato. Le agenzie di rating hanno avuto una trasmutazione genetica. Sono diventate un ogm dei mercati finanziari. Probabilmente dannose per la salute dei listini. Erano nate come strumento di garanzia perché il loro voto era un'assicurazione sulla solidità degli investimenti. Si sono trasformate in un elemento destabilizzante capace di far perdere milioni di dollari o di euro a chi investe (197 solo ieri in Europa).  L'ampiezza e l'incisività della trasformazione è emersa in tutta chiarezza. In mattinata le Borse europee, sostenute dagli interventi della Bce a supporto di Italia e Spagna, avevano galoppato. Nel pomeriggio l'apertura di Wall Street che condizionata dal parere negativo di S&P sui conti pubblici, ha perso  terreno trascinando  il resto. Non senza qualche ombra di sospetto. Per esempio domenica pomeriggio Warren Buffet, detto l'“Oracolo”  di Omaha  aveva giudicato «un errore» la bocciatura di Standard& Poor's. Ieri   Moody's, l'altra sorella del rating, ha fatto sapere che non seguiva i colleghi sulla strada della retrocessione. Pochi, però, sanno che il fondo di Buffett è azionista di riferimento di Moody's. Da qui il sospetto che l'anziano finanziere avesse voluto “anticipare” il giudizio positivo dei suoi analisti. Chissà: forse voleva proteggere i suoi investimenti? Proprio questi sospetti rilanciano i dubbi sull'effettivo valore del rating e sulla necessità di controlli più stretti. Non tanto creando un'agenzia nazionale (come ha fatto la Cina) ma, eventualmente creando una Consob internazionale incaricata di dare i voti a chi da i voti. Nel caso di Standard & Poor's, agenzia americana fondata nel 1860, parliamo di un'articolazione degli uffici, presenti in 23 paesi, per fornire agli investitori giudizi di rating, indici finanziari (il principale, S&P 500), valutazioni di rischio, ricerche ed altre analisi economiche e finanziarie. Nel 2010, sono stati emessi circa 270.000 valutazioni per un totale di debito analizzato pari a circa 32 trilioni di dollari, con circa 10.000 dipendenti nel mondo. Quindi con una  “produttività”  di 27 analisi pro-capite. Un valore che evidentemente impone turni massacranti di straordinario rispetto ad aziende che hanno una quantità di attività e beni per cui è quasi impossibile riuscire a fare l'elenco nell'arco di 1 anno. Immaginiamo cosa significa dare la valutazione di un Paese immenso come gli Usa. Nessuno dubita della preparazione dei dipendenti anche se, in massima parte si tratta di giovani, sicuramente molto efficienti ma forse non sempre di grandissima esperienza. La qualità  in Italia è garantita dalla direzione di Maria Pierdicchi che per una decina d'anni ha lavorato a fianco di Massimo Capuano nella gestione di Borsa Italiana.  Anche se poi l'attribuzione del rating segue una procedura che a livello internazionale  proprio per ottenere il massimo d'indipendenza di giudizio. Resta  irrisolto il nodo della “governance” che riguarda tutte le agenzie. Da una parte consulenti delle società private (che pagano i loro interventi). Dall'altra censori degli Stati (che non pagano) In attesa di una regolamentazione a livello internazionale l'utilizzo del rating sugli Stati sovrani va in qualche modo riconsiderato o ridimensionato alla stregua di un semplice supporto indicativo. Un  “campanello di allarme”. Non la certezza sulla presenza dei ladri. Si deve evitare che la cieca osservanza da parte degli investitori meno esperti (e soprattutto l'uso, o abuso, strumentale degli speculatori) finisca per determinare quei bruschi cambiamenti di segno degli indici finanziari che bruciano risorse immense, e hanno riflessi negativi sull'economia (e la politica)  “reale”. di Nino Sunseri

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