Beni rifugio: picco dell'oro ma il petrolio frena la caduta
Il crollo dei mercati azionari spinge il metallo giallo ad un nuovo massimo di 1.700 dollari. Greggio frena la discesa
Petrolio giù oro ai nuovi massimo. Gli ultimi scrolloni sui mercati finanziari che hanno travolto borse e titoli dei debiti sovrani europei hanno finito per influenzare i corsi delle maggiori commodity. Nel corso della seduta di ieri il metallo giallo ha raggiunto il nuovo massimo a 1.700 dollari l'oncia per poi oscillare (erano le 21 in Italia) su valori inferiori, vicini alla chiusura di giovedì (1.654,35 dollari). A ridurre lo slancio del bene rifugio per eccellenza è stato l'andamento incerto dei listini nell'ultima parte della seduta, con oscillazioni che hanno mandato gli indici sulle montagne russe, in assenza però di una precisa "direzionalità". Per strappare ancora al rialzo. Sopra quota 1.700 dollari, l'oro avrebbe bisogno di altre sedute in profondo rosso delle Borse. Sul futuro non c'è chiarezza ma gli analisti sono abbastanza concordi nell'escludere violente correzioni al ribasso. Giusto giovedì il gruppo minerario Anglo Gold Ashanti ha previsto per il metallo giallo - che da inizio anno è salito di circa il 20% - il superamento di quota 1.700 dollari nei prossimi sei mesi. Deutsche Bank addirittura che i prezzi possano rompere sopra la soglia dei 2mila dollari (un altro +20% circa rispetto ai livelli attuali) prima di essere considerati eccessivi. Quindi, almeno per ora, niente bolla, a sentire gli strategist delle grandi banche e gli uffici studi dei maggiori operatori. Giudizi sui quali, tuttavia, vale la pena di esprimere più di un dubbio: dalla crisi dei mutui subprime in poi (2008) gli esperti non ne hanno azzeccata una. Più complessa l'analisi del greggio. Mentre il crollo dei mercati azionari ha spinto comunque le quotazioni del metallo giallo al nuovo massimo, i dati migliori delle attese sul mercato del lavoro Usa, con 46mila nuovi posti di lavoro creati contro i 18 mila attesi e la disoccupazione scesa dal 9,2 al 9,1%, ha ridato fiato alle quotazioni del greggio che in chiusura di seduta, giovedì notte erano in picchiata. Il Petrolio Usa era arrivato a perdere addirittura 3 dollari, scendendo a quota 83,52, mentre il Brent del Mare del Nord aveva toccato un minimo a 105,05 dollari. Una correzione di questa portata aveva indotto gli uffici studi dei grandi operatori ad accendere un segnale d'allarme: una discesa così repentina non può che confermare i timori per un ulteriore rallentamento dell'economia. Pil e domanda di mercato in calo innescherebbero una discesa quasi verticale nei corsi dell'oro nero. Che funziona in casi come questo come elemento anticipatore di una nuova, possibile, recessione. L'andamento degli indici di Borsa americani, col Dow Jones in recupero nella parte centrale della seduta, ha frenato la discesa del greggio. Si spiega così il rimbalzo delle quotazioni che ha fermato, almeno per il momento, la correzione. Ma forse, per una volta, non è una brutta notizia. di Attilio Barbieri