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Immorali "I compagni mi chiedevano 20 mld" Così andavano gli appalti nella Sesto di Penati

L'imprenditore Ciotti accusa il braccio destro dell'allora sindaco. Soldi al partito in cambio di lavori / BOLLOLI

Costanza Signorelli
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"La politica ha dei costi. I soldi servono non solo a noi, servono per Milano provincia, servono per scalare il partito, servono per Roma". Quindi, paga. E via di mazzette. "Mi chiesero venti miliardi di lire», mette a verbale Diego Cotti, imprenditore e capogruppo in consiglio comunale della lista civica Sesto per Penati negli anni in cui Filippo Penati era sindaco del Comune alle porte di Milano (dal 1994 al 2001). Cotti è un teste importante nella vicenda del tangentificio rosso su cui indaga la procura di Monza. Soldi al partito (oggi Pd, allora Democratici di sinistra) in cambio di lavori per la riqualificazione urbanistica dell'area delle ex acciaierie Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, la Stalingrado d'Italia. I dettagli della richiesta di pagamento sono già stati raccontati da Cotti ai pm di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia, che accusano l'ex sindaco ed ex presidente della Provincia di Milano di concussione, corruzione, e finanziamento illecito ai partiti. Penati è stato tirato in ballo per primo da Giuseppe Pasini, costruttore oggi 81enne, soprannominato "Farfallino" per via dell'immancabile papillon, nel 2007 candidato per il centrodestra a sindaco di Sesto, e interessato all'acquisto dell'area dismessa. A denunciare il giro di soldi intascati dai compagni e a puntare il dito contro l'ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani è stato anche Piero Di Caterina, proprietario di 15 aziende tra cui la Caronte, attiva nel trasporto pubblico. Due grandi accusatori contro l'accusato eccellente Penati, a cui si aggiunge adesso la testimonianza di Cotti (già genero di Pasini), riportata integralmente in esclusiva dal settimanale Panorama in edicola da oggi. «Noi ti garantiamo un iter burocratico snello, non ti facciamo perdere tempo. Però tu ci devi dare i soldi....". Più chiaro di così. In realtà, Cotti riferisce che la richiesta di 20 miliardi di vecchie lire in cambio di appalti non avvenne direttamente dall'allora sindaco Penati, ma da Giordano Vimercati, oggi sotto inchiesta, all'epoca influente capo della segreteria del primo cittadino sestese, nonché ai vertici del Consorzio dei trasporti pubblici della cittadina lombarda, quindi non proprio uno qualunque. L'episodio citato  sarebbe avvenuto nell'ufficio di Vimercati, in piazza della Resistenza, nel palazzo del Comune della Stalingrado d'Italia a cavallo dell'estate del 2000. E Penati cosa disse? Cotti racconta a Panorama che nell'ufficio di Vimercati, oltre a lui, era presente anche l'uomo forte del Pd ora al centro dell'inchiesta. Il quale, spiega il teste, "lasciava parlare il suo funzionario». Che, candidamente, spiegava che il denaro "serve per Filippo per avere un ruolo più importante nel partito". Un lavoro di squadra a tutto tondo che passava, si legge ancora nel verbale, anche per il Ccc, il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna. Lo staff del sindaco batteva cassa con gli imprenditori interessati alla riqualificazione dell'ex Falck, in cambio prometteva di sveltire le pratiche burocratiche, poi faceva lavorare le imprese di costruzioni delle coop rosse emiliane. Alla fine, secondo le prove raccolte finora, Penati sarebbe stato destinatario, nel 2001, di tangenti per un totale di 5,7 miliardi di lire con lo scopo di favorire alcuni imprenditori operanti nel settore dell'edilizia. Oltre alla vasta zona delle ex acciaierie, è poi emerso anche il filone che riguarda l'acquisto, da parte della Provincia di Milano all'epoca in cui era guidata da Penati, del 15% delle quote della società Milano-Serravalle (che gestisce 180 chilometri di autostrade e tangenziali) dall'imprenditore Marcellino Gavio. Un'operazione controversa anche per la Corte dei Conti, visto il prezzo troppo elevato sborsato dall'ente pubblico. L'ex vicepresidente del Consiglio regionale si difende e continua a dichiararsi estraneo al tangentificio rosso. Ieri ha fatto sapere che gli 11mila euro in contanti trovati dalla Finanza in una perquisizione a casa sua lo scorso 20 luglio, sono "soldi per i viaggi da usare in Italia e all'estero. "Le somme rinvenute erano nella mia camera da letto e sono riferibili alle mie disponibilità e non riconducibili ai fatti che mi sono contestati, vecchi di dodici anni". Ma altro materiale, giudicato "interessante" dagli inquirenti, sarebbe stato sequestrato nel corso delle otto perquisizioni di due settimane fa. Penati ha anche voluto precisare sulle auto, la moto di grossa cilindrata («in realtà è una Moto Guzzi 750 Nevada, di 10 anni fa, che ho comprato usata») e le banconote di vario taglio che aveva in casa. Nessuna risposta, invece, alle critiche mosse da Sergio Cofferati, che intervistato dal Corriere, gli ha suggerito di autosospendersi dal partito. Sulla questione morale all'interno del Pd, infatti, il dibattito è più che mai acceso. E perfino Famiglia Cristiana ha voluto dire la sua: "Le tangenti non hanno colore politico". Intanto i pm monzesi hanno convocato come testimoni i collaboratori e le segretarie di Piero Di Caterina per decriptare nomi e sigle (Big Bruno, Presidente o Dg) segnati accanto alle cifre sui documenti contabili che l'imprenditore (anche lui indagato) ha consegnato in procura un anno fa. Sulla vicenda è intervenuto anche l'attuale sindaco di Sesto, Giorgio Oldrini: "Tutti sanno che i rapporti tra me e Penati sono complicati. Se uno va a dare i soldi a lui per influire su di me è cretino". di Brunella Bolloli

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