Il re della Casta è Di Pietro: andato in pensione a 44 anni
Invoca tagli e sacrifici. Ma lui lasciò la toga nel '95 e da allora si gode un vitalizio mensile di 2.000 euro / BORGONOVO
Sì, certo, lui sta «dalla parte di chi fa sentire la sua voce». Si gingilla tutto soddisfatto con l'idea che «siamo semplicemente alla vigilia di nuove monetine». Vuole persino andare in piazza. Antonio Di Pietro era serio quando ha detto, pochi giorni fa: «È arrivato il momento per tutti i cittadini di urlare forte: “Basta con la Casta”». Mentre proponeva «di scendere in piazza alla fine di settembre per una manifestazione di dimensioni mai viste contro la casta al potere». Quando il popolo alza la torcia e sventola il forcone ringhiando all'indirizzo dei politici ladroni, il campestre condottiero dell'Idv si trova a proprio agio come la salama nel suo sugo. Forse perché si sente ancora sulla cresta dell'onda come ai tempi di Mani Pulite. Piccolo particolare: adesso Tonino è un politico, di quella Casta di cui chiede la gogna fa parte anche lui. E che parte. Ha sbraitato di recente nei microfoni dei cronisti: «Se continueranno a difendere i loro privilegi, come hanno fatto bocciando ripetutamente in Parlamento le nostre proposte per l'abolizione delle Province, dei vitalizi, delle auto e dei voli blu ci sarà una ribellione sociale senza precedenti». Se continueranno a difendere, dice. Continueranno chi? Loro? Ma perché Tonino a quelli della Casta dà del «loro», come se fossero diversi da lui, come se lui non godesse di privilegi? Tanto per rammentarne uno: egli è un baby pensionato. Lo ricorda Mario Giordano nel bestseller Sanguisughe (Mondadori): «Riceve un vitalizio dal 1° settembre 1995, cioè da quando aveva 44 anni. Il suo assegno mensile ammonta a 2644,57 euro, 1956 netti». Una bella pensioncina da magistrato, che l'Inpdap gli versa da circa sedici anni. Anche se Di Pietro è parlamentare. O ministro. Nel luglio del 2007, infatti, Tonino sedeva al vertice del dicastero dei Lavori pubblici. Il Corriere della Sera gli chiese conto dello stipendiuccio fornito dalla previdenza. «Non ho mica smesso di lavorare», rispose piccato, «forse lo faccio più di prima». Poi la giustificazione: «Mi rendo conto che ottenere una pensione in quel modo è una cosa assurda, ma era la legge di allora e non potevo certo rifiutare». Eh no, mica si può rifiutare. Senza contare che lui, quando indossava la toga, lavorava sodo, «anche 24 ore al giorno». Fatto sta che anche quando faceva il ministro dei Lavori pubblici godeva del vitalizio. Che non ci risulta abbia mollato in tempi recenti, nonostante le entrate da rappresentante del popolo italiano non siano certo esigue. Eppure Tonino ce l'ha con «loro», con la «Casta», con gli orrendi ladroni che decidono le sorti del Paese. Perché gli schifosi sono sempre gli altri e un vitalizio non si rifiuta mai; come i celebri diamanti, una pensione è per sempre. Il capoccia dell'Idv bercia che «occorre una grande mobilitazione di massa perché non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire». Ribadisce che calare nelle piazze per ribellarsi si può, anzi si deve. Con doti da veggente prevede che i cieli saranno oscurati da una marea di monetine scagliate dai cittadini furibondi verso il Palazzo. Beh, se fosse coerente, il pensionato ex ministro Di Pietro dovrebbe guardarsi allo specchio, in casa, e tirarsi le monetine da solo. di Francesco Borgonovo