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Paragoni con l'era Mani pulite Oggi clima duro, allora da pazzi

Prima la gente scendeva in piazza, ora preferisce la spiaggia. Nessuno abbatte la politica, è lei che fa tutto da sola / FACCI

Costanza Signorelli
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I paralleli col 1992 sono una moda consunta. Qualche punto in comune lo trovi sempre: crisi economica allora come oggi, politica e magistratura antagonisti, attriti istituzionali anche seri (dissidi tra le Camere, la Consulta contestata, il capo dello Stato che parla tanto e ottiene poco) e ancora: manovre finanziarie pesanti (allora Amato, oggi Tremonti) e soprattutto una sfiducia nella classe politica che però si accompagna a una sfiducia in qualsiasi "casta", magistratura compresa, giornalisti compresi. E questa, al pari di altre, non è una differenza da poco: oggi la Lega non minaccia secessioni, la mafia non fa saltare in aria magistrati e non piazza bombe che squarciano monumenti, la Guerra Fredda non è appena finita, non ci sono apparati dello Stato in totale subbuglio, la magistratura contesta le leggi ma non le blocca. Il clima è pesante, ma allora era da pazzi. Oggi la gente è incazzata, ma ancora di più è stanca. È disillusa. Nessuno - a parte Maroni, forse - pensa che arrestare politici sia una soluzione, e che ci sia - a parte quelli de Il Fatto - un regime da abbattere. Nel 1992 fu proprio la gente a travolgere l'equilibrio democristian-socialista (con il voto, in primis) e a consentire che Mani pulite facesse quel che ha fatto: perché è l'eterno "centro moderato", in Italia, che permette di fare le rivoluzioni. Oggi invece la sfiducia cresce, ma la gente ha molta più voglia di andare al mare che di scendere in strada a tirare monetine: anche perché, dopo il passaggio all'euro, le monetine valgono. Chi minaccia o progetta di tirarle, alla fine, è la solita partita di giro, i soliti quattro coglioni che noi giornalisti aspettiamo al varco: per fargli fare un figurone, per scrivere che "è come il 1992". Ma nessuno sta abbattendo la politica. La politica, al limite, si sta abbattendo da sola. di Filippo Facci

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