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Parolisi, ecco perché è dentro L'amante: "O me o Melania"

Salvatore arrestato a tre mesi dal delitto. L'amante su Facebook: "Scegli" E lui: "Mia moglie sa tutto. Ho già gli avvocati" / LODI

Costanza Signorelli
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Dicono sia lui il feroce assassino di Melania. E allora chissà a cosa avrà pensato, quando risalendo in macchina, Salvatore Parolisi, ha incrociato gli occhi della piccola Vittoria. Quegli occhi innocenti che avevano appena visto l'orrore. Chissà se lui, dopo essersi tolto i vestiti e lavato via il sangue con l'acqua della fontana che era lì a due metri dal massacro, ha avuto un fremito. Magari un sussulto soltanto, di ribrezzo per se stesso, nel guardare la figlioletta. Perché lei, così piccina a diciotto mesi appena, forse avrà pianto. Avrà singhiozzato spaventata dalle grida della sua mamma che moriva. Uccisa dal suo papà, l'uomo che avrebbe dovuto amare e proteggere entrambe. Ieri mattina i carabinieri sono andati a prenderlo alla caserma Clementi di Ascoli Piceno, subito dopo l'alzabandiera. Lui si è tolto l'uniforme da soldato e si è lasciato trascinare nella prigione di Marino del Tronto: qui passò Totò Riina e qui presta servizio  quel Raffaele Paciolla che un tempo era suo amico. Amico al punto di essere stato la prima persona che il vedovo ha chiamato, quando denunciò la scomparsa della bellissima e giovane moglie. Le accuse contestate sono da condanna tombale. Da fine pena mai: omicidio volontario pluriaggravato dal vincolo di parentela e dalla crudeltà, e poi vilipendio di cadavere, forse in concorso con qualcuno. Salvatore Parolisi è pericoloso al punto di poter tornare a uccidere e, come non bastasse, il suo mentire continuo è un chiaro tentativo di inquinare le prove che lo inchiodano all'omicidio di Melania Rea: 29 anni, 33 coltellate, almeno dieci delle quali sferrate quando era già morta. Uno o forse due giorni dopo il delitto. L'impianto accusatorio costruito dalla Procura di Ascoli e avvallato dal gip Carlo Calvaresi, che ne ha accolto la richiesta d'arresto, sembra saldo: "Ha ucciso da solo, fra le 14.20 e le 14.30 quando il suo telefonino e quello di Melania venivano agganciati dalla cella di Ripe di Civitella, dove la donna viene ritrovata senza vita il 20 aprile", scrive nell'ordinanza di novanta pagine il giudice Carlo Calvaresi. "Melania è morta per emorragia da dissanguamento a causa dei numerosi colpi subìti su tutto il corpo e non per uno solo in particolare". Il colonnello Alessandro Patrizio, comandante provinciale dei carabinieri di Ascoli, dice che questa indagine è nata ed è stata condotta senza alcun pregiudizio nei confronti di Salvatore Parolisi: "Lui, per noi, all'inizio era una vittima a cui avevano ucciso la moglie. Dovevamo trovare il colpevole. Ma più le indagini andavano avanti, più i risultati convergevano su di lui. Melania Rea era già morta quando Parolisi ne ha denunciato la scomparsa. I loro telefoni, in quel momento, erano entrambi nel bosco dove fu trovato il corpo. Questo fu il primo indizio. Poi è arrivato tutto il resto", parla con equilibrio e senza ombra di protagonismo questo militare che per tre mesi ha guidato i suoi uomini in una missione complicata e dolorosa. Spiega con pacatezza e determinazione: "Parolisi ha inflitto anche colpi post mortem. Non possiamo escludere che abbia goduto di una collaborazione esterna. Anche se al momento non ci sono altri indagati e non sappiamo se ce ne dovranno essere". Gli atti dell'inchiesta, come deciso dal gip, saranno trasferiti a Teramo: il luogo in cui è stato trovato il corpo, Ripe di Civitella, è infatti nel Teramano. "Il più è fatto", commenta il procuratore Michele Renzo, "non abbiamo intenzione di estenderci in Abruzzo". Il pool di magistrati ascolani, guidato da Umberto Monti, ritengono che un possibile movente sia la relazione di Salvatore Parolisi con la soldatessa Ludovica, della quale era diventato amante. Il 23 aprile (vigilia di Pasqua) dovevano vedersi ad Amalfi, e qui lei avrebbe dovuto presentare Salvatore ai suoi familiari come il fidanzato ufficiale. Gli avevano prenotato una stanza d'albergo. Lui aveva detto all'amante di avere lasciato la moglie: "Ho già trovato gli avvocati, lei sa tutto di noi". non era vero. Ludovica lo pressava: "Ho diritto alla mia vita. Deciditi: stai con me, oppure con lei".  Molto importanti i messaggi scambiati su Facebook da Salvatore che usava l'avatar "Vecio Alpino". Messaggi che precipitosamente aveva  cancellato, il 19 aprile, all'indomani della "scomparsa" della moglie. E per questo, secondo i pm, non partecipò alle ricerche. I messaggi sono stati recuperati con una rogatoria internazionale: "È chiaro", scrive il gip, "che da qui emerge la pressione esercitata da Ludovica su Salvatore affinchè lasciasse la moglie per dedicarsi esclusivamente a lei, tanto che a Pasqua Salvatore Parolisi doveva recarsi nel Napoletano per conoscere i genitori di Ludovica. Quel giorno Parolisi si sarebbe dovuto presentare dall'amante già con la notizia che aveva lasciato la moglie". A inchiodarlo, secondo quanto si legge nell'ordinanza, sono stati anche i risultati dell'autopsia. Adriano Tagliabracci e Sabina Canestrai spiegano che Melania è stata uccisa proprio nel lasso di tempo in cui il marito giurava di trovarsi invece con Melania e la figlioletta a Colle San Marco. Lì nessuno li vede. Il gip ha aggiunto alle 88 pagine della richiesta di arresto una breve appendice con considerazioni personali sulla possibile dinamica: Melania afferrata alle spalle, mentre è chinata a fare pipì. Cosa che lei, dice chi la conosce, non avrebbe mai fatto davanti a uno sconosciuto. Allegate anche le foto scattate da cinque ragazzi che il 18 aprile erano sul Pianoro e nelle quali non si vedono Salvatore, Melania e la piccola Vittoria. Tra i comportamenti sospetti, anche la vicenda del riconoscimento del luogo dove Melania venne ritrovata. E poi il Dna del vedovo, impresso sulle labbra e sulle gengive di Melania, mentre lui le tappa la bocca durante l'aggressione. Un impianto accusatorio e una mole di indizi che farebbe paura a chiunque, ma non a lui. Non al soldato assassino (presunto), che mentre entra in carcere tenta l'ultima difesa, perfino indignandosi con chi non ha una sola ragione per  credergli: "Io in galera. L'assassino di mia moglie fuori". di Cristiana Lodi

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