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Quote rosa, ultima dei giudici: decidono loro sesso assessori

Roma, no limiti all'invasione delle toghe. Il Tar costringerà Alemanno a sostituire i maschi con le donne nel comune capitolino

Andrea Tempestini
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Bene, adesso il Tar del Lazio si è messo a rimpastare le giunte e a decidere il sesso degli assessori: accade a Roma dopo un ricorso sul mancato rispetto di assai generiche «quote rosa». Il sindaco Gianni Alemanno, in effetti, aveva nominato soltanto una donna su dodici assessori e questo violava una disposizione dello statuto del Comune, che pure parlava indistintamente di «presenza equilibrata di uomini e di donne». Ecco perché nei mesi scorsi ci sono stati due ricorsi (a opera di vari esponenti dell'opposizione, in Comune e in Provincia) e ora finalmente pare che ci siamo: entro una settimana i giudici amministrativi pubblicheranno i dispositivi delle sentenze. Se ne ignorano i contenuti, ma la condanna a rimescolare la giunta pare più che plausibile. Che dire, nell'attesa? Da un lato c'è da prendersela con la solita invasività della magistratura che abbatte i ministri come Saverio Romano (ieri rinviato a giudizio nonostante l'opposizione della pubblica accusa) oppure compone i palinsesti televisivi (vedi il noto caso Santoro) oppure decide su vita e non vita (caso Englaro) oppure si occupa di profilassi sanitaria (indagini su epidemia colposa a Napoli) eccetera eccetera. Dall'altro lato c'è una politica che politicamente e tecnicamente resta responsabile del caso in specie (una sola donna su dodici assessori sarebbe stato poco anche trent'anni fa) e al tempo stesso appare sin troppo recettiva, remissiva: come se la sentenza del Tar potesse far comodo, e servire, cioè, a qualche scomposizione e ricomposizione interna: questo da parte di un sindaco che per i rimpasti e i cambi di vertice, oggettivamente, sembra nutrire una passione. Ma restiamo alla magistratura e al suo zampino. Possibile che basti una violazione dello statuto per rischiare di azzerare una giunta? Pare di sì, anche se suona strano. Lo statuto comunale è soltanto un atto formale che lo stesso Campidoglio si è dato secondo una legge del 2000: vi si stabilisce l'ordinamento generale, il funzionamento dei vari organi di governo locali, l'organizzazione degli uffici, le forme di collaborazione tra Comune ed enti, queste cose. Non di rado questi statuti sono infaciti di retorica dal punto di vista territoriale e storico (la descrizione dello stemma, del gonfalone eccetera) nonché di interi capitoli di buoni propositi. Uno di questi è l'articolo 4 («Azioni Positive per la Realizzazione della Parità tra i Sessi», notare le maiuscole) e contiene tanta di quella fuffa da rendere felice qualsiasi Tar della Nazione, soprattutto perché poi c'è l'articolo 5 («Principio della Pari Opportunità in Tema di Nomine») che prevede appunto una «equilibrata presenza di uomini e di donne», e non si scappa, la prevede. Ma dove, la prevede? Lo statuto è impreciso: parla di «enti, istituzioni e altri organismi gestori di servizi pubblici», ma non nomina espressamente la giunta nè il consiglio comunale. Ecco perché il sindaco Alemanno si è difeso affermando debolmente che «nella nostra dirigenza il numero delle donne sfiora il 50 per cento», riferendosi forse alla squadra di femmine - perlopiù alemanniane - che affolla il suo copiosissimo ufficio stampa, composto da venticinque persone. La sentenza del Tar - quella che rimpasta le giunte - rischierebbe ovviamente di rappresentare un precedente: soprattutto se l'atteggiamento della politica si mostra a dir poco conciliante, al limite della sottomissione. Gli avvocati del Comune avevano chiesto che i ricorsi fossero rigettati, sostenenendo, tra l'altro, che «è il sindaco, e solo il sindaco, a valutare, motivare e decidere, essendo la nomina della giunta un atto che ha comunque implicazioni di carattere politico». E questo pare ovvio, ma probabilmente non è bastato. Dal canto suo, invece, Gianni Alemanno ieri ha detto poco o nulla. Si è limitato ad affermare: «Attendo la sentenza del Tar, e se sarà negativa ne prenderemo atto e modificheremo la Giunta in base alla sentenza». Poi ha ammesso: «Non ho mai fatto mistero sul fatto che esistesse un problema di carenza di donne nella giunta comunale». E, detta così, pare solo un'ammissione di colpa, visto che la cosa dipendeva da lui: forse poteva pensarci prima. E mentre impazza il solito totonomine (quale maschio va, quale donna viene) non è che l'immagine femminile ne esca granché rafforzata, anzi. L'ex assessore capitolino alla Cultura, Umberto Croppi, ieri ha raccontato che Alemanno durante il rimpasto di gennaio gli chiese genericamente di cercare «una donna» per l'assessorato al Turismo. Poi la cosa saltò: forse per l'opposizione di Gianfranco Rotondi - questo sostiene Croppi - o forse, messa così, perché i negozi di donne erano già chiusi. di Filippo Facci

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