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A pagare il conto alla casta sono i vecchi e gli ammalati

Tremonti aveva provato a tagliare unghie alle corporazioni, ma ha dovuto arrendersi: avrebbe rischiato. Restano i doppi incarichi

Andrea Tempestini
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Giulio Tremonti ha provato per un paio d'ore a stringere di più la manovra intorno alle caste. Siccome già un'ora dopo avere proposto le nuove misure la sua poltrona non c'era più e il governo rischiava seriamente di cadere, la stretta è andata a farsi benedire. Ha proposto di stringere sugli avvocati, e visto che il Pdl è fatto in gran parte di avvocati, in pochi minuti c'erano già 80 firme sotto lo slogan “io questa manovra non la voto”. Ha stretto sui notai, e guarda tu quanti notai sbucavano improvvisamente fra le fila della maggioranza. Indietro tutta anche lì. Ha stretto sui doppi incarichi della politica, dicendo una quasi ovvietà: se fai il parlamentare non puoi fare contemporaneamente il sindaco e il presidente di provincia al di là degli abitanti amministrati. Ma solo alla Camera nelle fila del Pdl sono sbucati 9 presidenti di provincia e 6 sindaci già pronti al pollice verso sulla finanziaria, togliendo così la maggioranza al governo. Via anche questa piccola banale stretta. Risultato: se fai parte della casta, porti sicuro a casa la pelle anche in un momento di grave difficoltà come questo. Se invece sei solo un banale cittadino qualunque, preparati a pagare. Puoi accendere un cero al santo preferito, ma scordati che qualcuno in parlamento si sveni per te. La morte tua è vita loro, e a palazzo ormai vale la legge della giungla. LIBERALIZZARE La scandalosa proposta di Tremonti era questa: liberalizziamo l'accesso alle professioni. Cari ordini degli avvocati, dei notai, dei commercialisti, degli ingegneri e via dicendo: avete nove mesi di tempo per fare le vostre proposte e convincere il governo della loro efficacia. Se non ce la fate scatta la liberalizzazione per tutti. Sono insorti soprattutto gli avvocati, che sono la categoria professionale più numerosa in Parlamento. Qualche ragione in effetti l'hanno pure: gli avvocati in Italia sono circa 207 mila, più che in ogni altro paese di Europa. L'urgenza più che liberalizzare sembrerebbe quella di stringere l'accesso alla professione. Ma lo stesso discorso non varrebbe per gli altri ordini. E un fatto è certo: la liberalizzazione di molte professioni è avanzata in quasi tutti i paesi di Europa meno che in Italia. Da decenni ogni governo e ogni maggioranza possibile tenta di approvare una riforma delle professioni. Che viene infilzata dagli ordini dove a parole la si reclama e appena la si vede lì lì per essere realizzata, senza tanti complimenti la si affonda. Siccome il gioco è questo da una vita, l'unico modo per tentare una riforma è la linea dura.  Ci provò Pier Luigi Bersani nel 2006-2007. Calcò troppo la mano, con evidenti ingiustizie, i professionisti organizzarono una storica marcia dei 50 mila e alla fine anche lì ogni norma venne cassata. Ieri appunto Tremonti ha solo accennato a seguire quei passi di Bersani, l'Oua di Maurizio De Tilla in pochi minuti ha minacciato una nuova marcia dei 50 mila, gli avvocati in Parlamento (sono 132) hanno alzato le barricate, e tutto è finito nel cestino. La soluzione trovata è nessuna riforma per gli ordini più potenti (quelli per cui ci vuole l'esame di Stato), e una via morbida per smuovere le acque in tutti gli altri casi. L'ALTERNATIVA Non potendo trovare nuovi fondi dalle varie caste, il governo si è cercato le coperture dalla gran massa dei cittadini. Reintrodotti i ticket sanitari che ci si faceva gran vanto di avere revocato dopo che la sinistra li aveva imposti nel 2007. Rivisitate con qualche misura di equità in più le due grandi voci della manovra: rivalutazioni pensionistiche e imposta di bollo sui depositi titoli. Le prime avranno doppia strada: chi riceve una pensione inferiore a 2.380 euro lordi al mese vedrà l'importo rivalutato secondo le vecchie regole. Da quella somma in su invece ogni rivalutazione sarà bloccata. Dire che si colpiscono i ricchi con quelle soglie pare francamente eccessivo. Ma almeno non si affondano i poveri come era nella misura originaria. Quanto all'imposta di bollo sui depositi titoli, invece di scattare subito da 34,20 a 120 euro e l'anno dopo a 150 euro per tutti i piccoli e medi risparmiatori (fino a 50 mila euro), verrà collegata all'entità dei risparmi, resa sostanzialmente progressiva come la tassazione sulle persone fisiche. Arriverà invece una vera e propria stangata sulle cosiddette pensioni d'oro: l'ennesimo contributo di solidarietà che da dieci anni a questa parte sbuca nelle finanziarie come le feste comandate. Sarà del 5% sopra i 90 mila euro lordi annui e del 10% sopra i 150 mila euro lordi annui. NOVITA' Novità di giornata: per calcolare quell'importo si cumuleranno alla pensione base (pagata in genere dall'Inps) anche i redditi derivanti dalla pensione integrativa (che di pubblico non hanno proprio nulla). Per convincere gli italiani a farsi quella pensioncina integrativa (che per alcuni è perfino obbligatoria) e aiutare i conti pubblici lo Stato negli anni passati ha fatto ogni tipo di corte possibile e avanzato ogni offerta, a cominciare dalle agevolazioni fiscali. Ora che tanti sono stati convinti, è lo stesso Stato a tirare la fregatura tradendo il patto che aveva stipulato con i cittadini. Un metodo che dovrebbe fare insorgere mezzo parlamento. Ma è solo pensione integrativa, e non si cumula con i vitalizi della casta. Chi è là a decidere non ne viene nemmeno sfiorato, e portata a casa la sua pelle, non pensa nemmeno un minuto a battersi per salvare anche quella altrui... di Franco Bechis

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