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Parassiti: la vita di provincia tra truffe, corruzione e mafia

Diamoci un taglio. Politici locali a sbarra per rimborsi fittizzi. Quindi i casi di voto di scambio. Fino ai contatti con il crimine

Andrea Tempestini
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Premessa non superflua: non è che qui si vuol identificare nelle Province enti di pubblica amministrazione più criminogeni di altri, figuriamoci. E c'è poi da tener bene in conto il fatto che un avviso di garanzia, e neanche tanto raramente persino un arresto, non prelude necessariamente a una sentenza di colpevolezza. Detto questo, è fuor di dubbio che l'eccessivo moltiplicarsi di livelli istituzionali e amministrativi provochi statisticamente un aumento dei caratteristici reati rivolti contro il pubblico interesse - dunque corruzione, concussione, abuso d'ufficio e via dicendo. Considerazione cui vanno affiancati i numeri forniti dalla Corte dei Conti, con i casi di corruzione scovati nel 2010 aumentati del 30 per cento rispetto all'anno precedente, e un buco provocato da mazzette e affini (quelle scoperte, naturalmente) intorno ai 70 milioni l'anno. Ecco, anche in questo senso l'eliminazione di un pletorico livello di governo locale - qual è quello rappresentato dalle Province - sarebbe senz'altro più che positivo. ACCORDI SOTTOBANCO Perché così si potrebbero evitare vicende tipo quella di Roma, con i tredici rinvii a giudizio decisi tre mesi fa dal giudice capitolino e altrettanti stralci ad altre sedi territoriali. Una truffa da oltre due milioni di euro, legata ai rimborsi richiesti dai consiglieri provinciali e che l'ente è tenuto a pagare alle aziende presso cui gli stessi consiglieri sono assunti, visto che non possono svolgere il lavoro a causa degli  impegni derivanti dall'incarico pubblico. Secondo la Procura, gli ex e attuali consiglieri provinciali messi sotto inchiesta si sarebbero accordati con i dirigenti di diverse società, alcune delle quali di proprietà di parenti degli stessi politici, e «con artifici e raggiri» avrebbero stipulato contratti di lavoro con i quali venivano assunti, instaurando «un rapporto di lavoro fittizio presso la stessa società, non avendo mai in realtà prestato un'effettiva attività lavorativa». Capito? Facevano finta di farsi assumere, così l'ente erogava il rimborso e loro se l'intascavano, magari facendo la mezza con il complice. Una truffa che, secondo l'accusa, sarebbe andata avanti dal 2002 al 2007, e che ha coinvolto esponenti di entrambi gli schieramenti. Tanto per dare un ordine di grandezza, peraltro successivo agli episodi contestati: nel 2009 la Provincia di Roma ha speso, per questo genere di rimborsi, la bellezza di 779.216 euro. Altra notazione: dopo l'esplosione dell'inchiesta, le richieste di rimborso si sono incredibilmente dimezzate: erano 18 nel 2009, sono diventate 9 nel 2010. Certo più convenzionale è la vicenda che un mese fa ha coinvolto il presidente della Provincia di Nuoro, indagato assieme ad altre sei persone per peculato e corruzione - i carabinieri hanno anche perquisito gli uffici della Provincia: l'inchiesta ipotizza assunzioni interinali in cambio di voti, assunzioni avvenute poco prima delle ultime elezioni - e fra gli indagati ci sono anche l'ex vicepresidente di giunta e l'ex assessore dei lavori pubblici. In questo senso l'assessore provinciale all'istruzione di Crotone, proclamando la sua innocenza, ha preferito dimettersi, lo scorso gennaio, quando apprese di essere indagato per voto di scambio nell'ambito di un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro: secondo l'accusa, avrebbe ottenuto il sostegno elettorale di alcuni esponenti della cosca Vrenna in cambio di denaro. E clamoroso, l'anno scorso, fu il coinvolgimento di un ex assessore provinciale milanese nell'inchiesta sulle infiltrazioni lombarde della 'ndrangheta. Accuse naturalmente che devono poi passare al vaglio processuale. FLAGRANZA DI TANGENTE Così come grande sconcerto provocò, nel 2010, l'arresto del presidente della Provincia di Vercelli, accusato di concussione per aver chiesto denaro a un imprenditore della zona e così finanziarsi la campagna elettorale - poi gli sono stati contestati altri due episodi, in ogni caso ha patteggiato una condanna a 24 mesi. E sempre per concussione è stato arrestato, lo scorso febbraio, un funzionario della Provincia di Cuneo, che pretendeva dei soldi da un imprenditore per sbloccare una pratica: i Carabinieri l'hanno ammanettato in flagranza di mazzetta. Di episodi del genere ce n'è purtroppo parecchi. I cinque funzionari della Provincia di Imperia - fra cui l'ex presidente e un assessore - indagati per il rilascio ritenuto irregolare dell'autorizzazione per una discarica, poi sequestrata, e in seguito è stato chiesto il rinvio a giudizio. L'inchiesta che ha coinvolto anche l'ex presidente della Provincia di Pescara - già finito in carcere nel 2008 per altre disavventure giudiziarie - per presunte tangenti legate al progetto-fantasma di una strada provinciale in Abruzzo. E si potrebbe continuare - così come, intendiamoci, si potrebbe fare per Comuni e Regioni e Parlamenti. Ripetiamo: questa non è la regola, non si vuol sostenere che le Province siano un ricettacolo di reati e malfattori. Né indulgere al luogo comune che «tanto si sa che in politica rubano tutti». E però, insomma, va da sé che più burocrazia equivale inevitabilmente a più corruzione. L'unica è tagliare, accorciare la filiera. Se ne parla da tempo. Troppo. di Andrea Scaglia

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