Ci vuole lo squalo-Murdoch nell'acquario di Michele
Una lezione per l'Italia: gli affari prima di tutto. Rupert lo sa, e ha messo una croce sopra 168 anni di storia in pochi minuti
La legge degli affari innanzitutto. Non si diventa diversamente Rupert Murdoch, lo Squalo, l'editore più ricco e potente al mondo. Bisogna seguirla sempre, anche a costo di mettere in 72 ore una croce sopra 168 anni di storia, 660mila sterline di pubblicità e quasi tre milioni di copie vendute a weekend, perché questo è, era, News of the World. Il più grande gruppo editoriale al mondo si taglia un braccio e lo offre alla rabbia della piazza. L'etica superiore del giornalismo anglosassone, si dirà, l'importanza del gesto, la necessità di punire chi per uno scoop infrangeva ogni regola e assoldava hacker per spiare i telefonini di vittime del terrorismo o ragazze scomparse, alla ricerca di una frase a effetto, senza nessuna pietà per i morti e per le loro famiglie. Può darsi, ma le parole di Murdoch sul sacrificio della testata sull'altare della deontologia giornalistica («è giusto che chi ha sbagliato ne affronti le conseguenze», ha detto il tycoon) e il calcolo delle probabilità che News of the World, dopo la figuraccia, smettesse di essere una macchina da soldi non spiegano tutto. La testa che la piazza chiedeva, quella rossa e riccia di Rebekah Brooks, ex direttrice di News of the World e attuale amministratrice delegata di tutto il gruppo editoriale, pur tra le lacrime esibite mentre annunciava chiusura e licenziamenti, resta salda al suo posto. Per la piazza è la responsabile numero uno del giornalismo che se ne infischia di privacy ed etica; per Murdoch è un manager che vale più di un giornale. Come ben più di un giornale valgono l'amicizia del premier inglese David Cameron e BskyB, la tv satellitare su cui News Corporation vuol mettere le mani. Dopo gli scandali che hanno travolto il gruppo, il governo di Londra ha fatto slittare all'autunno ogni decisione in merito all'acquisto dell'emittente, accogliendo le perplessità dei laburisti sull'opportunità di «andare avanti sull'accordo in un momento in cui News International è sotto inchiesta». Questa è la stampa, questa è la democrazia, bellezze… per dirla con Santoro e con quanti da anni celebrano Murdoch e lo invocano come il grande liberatore del sistema televisivo italiano solo perché è il rivale più agguerrito di Berlusconi, salvo poi relegare con imbarazzo lo scandalo di News of the World nelle pagine interne dei giornali. Si può essere bravi, essere lì da 168 anni, fare utili, ma se si gioca sporco (non importa chi altro sapesse) o si mette in difficoltà l'azienda a cui si appartiene, si viene mandati a «vaffanbicchiere» all'istante, e senza possibilità di tornare a Canossa. Il figlio di Murdoch, James, ha dichiarato di essere interessato a La7. Se ce la facesse, buon per Enrico Mentana, che conosce le regole del giornalismo e dell'editoria e non avrebbe nessun problema. Meno per chi ha una concezione più personalistica del mezzo televisivo, non vuol render conto a nessuno, gioca a fare il martire e ad attaccare l'azienda che lo stipendia, minacciando ogni due per tre di lasciarla se non si piega ai suoi voleri, salvo ribussare - ma sempre con arroganza - quando si accorge che fuori fa freddo e nessuno lo vuole. di Pietro Senaldi