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E Santoro rivuole la Rai: prepariamo il nostro euro. Scaricato da tutti, ora si oppone anche la sinistra

Se accettasse un cachet simbolico... / Specchia

Andrea Tempestini
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Michele, o le disavventure della virtù. «A Michele è il sistema che lo rifiuta; ma lui non ha capito che Telecom, con tutti i debiti che ha e i casini che potrebbe avere, è il sistema...».  Così, con logica democristiana, un antico dirigente Rai ieri commentava il mancato accordo tra il mucchio selvaggio di Annozero e La7. Non a torto. Sembrava fatta, eppure il “sistema” ha ruminato l'utopia televisiva del tribuno e l'ha rigettata al mittente. Niente rottura del bipolarismo, niente telesogno. Pare che ora, dopo la pesante liquidazione Rai (2,3 milioni) Santoro pensi di rientrare a viale Mazzini. Magari col cachet del mitico “un euro a puntata”, riverbero di marketing di difficile realizzazione; e magari col cappello da Masaniello in mano, ché  non sarebbe dignitoso né per lui né per la Rai che tanto ci ha messo a farlo fuori. Ora, al di là dell'euro e del cappello, chi scrive ritiene Santoro il miglior animale televisivo sulla piazza (nonostante la frequentissima dissonanza con le sue drammaturgie). Però, diamine, urge un discorso pratico che travalichi l' ideologia. DI NUOVO TELESOGNO Mettiamo pure che, come grida Michele, «il regime berlusconiano sta vivendo gli ultimi pericolosi colpi di coda»; e che «l'editto bulgaro emanato dal presidente del Consiglio nei confronti di trasmissioni sgradite a Palazzo Chigi come Annozero non solo è ancora in vigore, ma ha ormai superato il duopolio Rai-Mediaset». Mettiamo anche, come insinua astutamente Il Fatto, che valga l'ipotesi del “Ricatto di governo”; e che l'ad di Telecom Bernabè, terrorizzato, abbia barattato la cancellazione del provvedimento che apriva la banda larga a tutti col blocco del contratto  (ma anche no: chi mastichi di telecomunicazioni sa che sin dai tempi del “piano Caio” il dilemma della “condivisione delle infrastrutture passive” è un vecchio pallino di Paolo Romani, da almeno un paio d'anni...). Mettiamo, perfino, che La7 non sia poi del tutto, il “terzo polo” o la Xanadu di Kublai Khan della poesia di Coleridge, quel regno di democrazia ove regna bellezza e si respira la libertà. Mettiamo pure tutto questo. Ma non basterebbe a spiegare il perchè Michele Santoro profugo dalla Rai per sbarcare a Telecom Italia Media avrebbe richiesto la carica di direttore (e sta bene); e la parificazione del suo programma a testata (e sta meno bene); e la totale carta bianca sui contenuti - diktat per  La7, che ha già problemi sulle manleve contrattuali- comprensiva praticamente di illicenziabilità nel caso scappasse qualche cazzatella. E qui, per Telecom, non sta bene affatto. Un editore, specie se liberale,  ha il diritto di essere reso partecipe dei propri contenuti, dovendone rispondere; e ha il diritto pure di rimuovere i suoi dirigenti, specie se ben pagati. Mica sono tutti la Rai. Non è un caso che Enrico Mentana, l'uomo che ha portato la rete di Stella a livelli d'autorevolezza siderali, al Corriere della sera abbia dichiarato: «qualsiasi giornalista non può dire o scrivere ciò che gli pare. Esistono obblighi di legge». Esistono per tutti, purtroppo. Anche per Santoro. Sicchè, andasse male con la Rai (e va male), Michele potrebbe pensare al “piano B” . Ossia la creazione di una tv indipendente multipiattaforma raggruppata intorno a Publishare, concessionaria che consorzia 18 tv regionali da Telenorba a Primo Canale da Umbria tv a Telelombardia. “Telesantoro” sarebbe legata anche al web e a una frequenza di quelle lasciate libere dalla tecnologia digitale. Partirebbe dalle esperienze di “Rai per una notte” e “Tutti in piedi”; e avrebbe come dominus  Sandro Parenzo, illuminato tycoon di sinistra. Lo rivela Il Fatto. Senza specificare, però, che proprio Parenzo è tra i possibili coordinatori di un “Il Fatto Tv”, rete che con l'avvento di Santoro potrebbe arrivare a un 2-4% di share: una formidabile potenza di fuoco.   SULLE SCATOLE A TUTTI Un'ipotesi affascinante, sulle orme del Telesogno preconizzato anni fa proprio da Santoro/Parenzo. Oggi la realtà è altra. Santoro in Rai non lo rivogliono. Non lo rivuole il centrodestra, certo. Ma soprattutto la sinistra; le uniche, vibrate, richieste di reintegro vengono dall'Udc e dall'Idv. Dal Pd -che considera Santoro come  “una zazaridda nelle mutande”, direbbe Fiorello - non un fiato, una lacrima, uno slancio. Ai giovani colleghi del Fatto che sfrigolano nell'ipotesi dell'eterno complotto berlusconiano, sfugge  la memoria storica. Santoro l'ha fatto fuori quasi sempre la sinistra. I decantati “Professori” nel '92; D'Alema che impedì al direttore generale Menicucci - col sostegno di quell'Usigrai che ora lo piange - di nominarlo direttore del Tg3 come voleva il presidente Letizia Moratti nel '95 ; Iseppi e Siciliano che lo cacciarono nel '99 (poi fu ripreso dal direttore di Raiuno Saccà, che l'uso per scardinare gli equilibri stessi dei Ds); i prodiani nel 2006 che lo spinsero verso Mediaset. Ci fu l'editto bulgaro, ma merita un discorso a parte. Santoro è un rompicoglioni. Per tutti. È la sua forza e la sua condanna. Altro che un euro a puntata di Francesco Specchia

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