E' indagato il super-poliziotto: festa di pm, boss e riciclatori
Il capo della Mobile Pisani ha catturato i leader dei Casalesi e decine di mafiosi. Ma in città ha molti nemini, non solo dei clan
Sull'intricata vicenda dell'apertura di un'indagine da parte della procura di Napoli a carico del capo della squadra mobile cittadina, Vittorio Pisani, per favoreggiamento nei confronti di ristoratori in odore di camorra la sola considerazione certa che si può fare al momento è che da ieri abbiamo un superpoliziotto con la carriera distrutta e tanti boss che possono vantarsi di aver avuto vendetta. Pisani ha catturato il capo dei Casalesi Antonio Iovine dopo 14 anni di latitanza, è andato a prendere il boss Paolo Di Mauro in Spagna, è il referente del ministro Roberto Maroni sul territorio, il braccio del governo che ha arrestato più camorristi nella storia. In pochi anni lui e 32 dei suoi uomini sono stati premiati per gli straordinari risultati ottenuti. Certo, non ha distrutto la criminalità organizzata in Campania ma, come si dice da quelle parti per far intendere che Napoli non è più porto franco della camorra, «è l'uomo che fa camminare quelli del sistema con due piedi in una scarpa». Insomma – rifiuti a parte, ma di questi nessun pm è ancora riuscito a fargli una colpa -, ha cambiato l'aria che si respira in città. Ai tempi di Bassolino, come scritto in Gomorra, era possibile che un boss si facesse largo in un funerale tra colonne di polizia e autorità immobili per fare le condoglianze alla madre di un ragazzo ammazzato per errore. Oggi, grazie a Pisani, non è più così. Da domani, chissà… Ma i dubbi sull'indagine non si fondano solo sul curriculum del superpoliziotto. Parlano anche quelli di chi lo accusa e di chi lo difende. Tutti gli agenti di Napoli, il capo della Polizia Antonio Manganelli, il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovani, esprimono «perplessità» sull'inchiesta e «solidarietà» nei confronti di Pisani. A inguaiarlo invece sono state le dichiarazioni di Salvatore Lo Russo detto ‘o Capitone, boss del clan omonimo, protagonista della guerra di Scampia. Si tratta di un pluriomicida che, passato in una notte dalla bella vita al carcere duro del 41 bis, ha rapidamente chiesto di parlare ottenendo un trattamento di favore. Descrive Pisani come un giustiziere e sostiene di «temerlo più di cento camorristi», afferma di averlo conosciuto quando lo aiutò a catturare il boss Di Lauro, una quindicina d'anni fa, ma lo accusa di coprire un ristoratore indagato per riciclaggio di soldi sporchi. Tanto è bastato al procuratore Lepore - sì, proprio lui, quello dell'inchiesta P4, quello che si è visto respingere dal gip la richiesta di associazione a delinquere per Bisignani ma ha commentato che «l'indagine è seria a prescindere dai reati» e che comunque Bisignani è «uno che ha le mani in pasta» - per stroncare la carriera del terrore dei camorristi, chiederne il divieto di dimora a Napoli e di fatto determinarne il trasferimento. Ma la vicenda raggiunge toni paradossali quando Lepore allega come prova chiave a carico un'intervista in cui Pisani «accusava i medici, commercialisti e avvocati di riciclare denaro della camorra ma ometteva dall'elenco i ristoratori», salvo poi dolersi pubblicamente per «la disavventura di quest'uomo brillantissimo», che il procuratore definisce «un amico»... A complicare il quadro, lo scontro che il poliziotto ha avuto con la Procura campana in occasione del trasferimento del tenente colonnello dei carabinieri Cagnazzo, da Pisani accusato di intelligenza con la camorra e difeso da 25 pm anti-mafia con una lettera e l'intervista che ha rilasciato su Saviano in cui, con la spavalderia che lo accompagna sempre, dichiarava che lo scrittore non ha bisogno della scorta, «perché manco io ce l'ho, poi la scorta agli uomini simbolo è un errore perché allontana i cittadini normali dalla collaborazione». Ne emerge il ritratto di un un duro, uno che non temeva di farsi nemici e certo per il suo lavoro intratteneva rapporti di famigliarità con pregiudicati, poco di buono e gente del sistema, non alieno da guerre di carriera interne alle forze dell'ordine, un po' strafottente, in conflitto con l'alta borghesia, la magistratura e i potentati napoletani. Ma sicuramente uno che nella lotta alla criminalità serviva, e molto. Un poliziotto che in sei-sette anni ha fatto più di una Procura intera in sessanta. Oggi il duro è costretto a chinare il capo e i boss fanno festa. Con loro, i fan di Saviano e i manettari che hanno invaso Internet con messaggi di giubilo, i pm che firmarono contro di lui, la Napoli bene che con la camorra convive e fa i soldi. di Pietro Senaldi