Cosce che scandalizzano il Pd: vento che cambia? No, bigotti
Il corpo delle donne agita i democratici: è un putiferio per manifesto della Festa dell'Unità in cui si vede un lembo di carne / FACCI
La notizia è che il redivivo comitato «Se non ora quando» (quello che scese in piazza contro Berlusconi e in difesa della dignità femminile) si è arrabbiato per una pubblicità lanciata dal Pd romano per la Festa dell'Unità: si vede, in un manifesto, la scritta «Cambia il vento» sovrapposta alla foto di una minigonna che si alza, e a due mani femminili che la tengono abbassata. Una cosa alla Marilyn Monroe, giudicata però come «ennesima immagine strumentale del corpo femminile», anzi, «uso del corpo delle donne come veicolo di messaggi che nulla hanno a che fare con esso», anzi, mancanza di rispetto «verso milioni di donne il cui voto è stato fondamentale nelle amministrative e nei referendum». Quella campagna, insomma, andrebbe ritirata: questo ha chiesto il Comitato. Il Pd romano ha risposto con una serie di domande retoriche e problematiche: «Un paio di gambe sono automaticamente equiparabili a un'immagine volgare come quelle delle olgettine?»; «Qual è il confine oltre il quale comincia la mercificazione?». Poi la grande esortazione: «Ragioniamo insieme su come si combatte la vera mercificazione del corpo anche nella comunicazione politica», anzi, «costruiamo una discussione pubblica, alla festa del Pd, dove possano confrontarsi diversi punti di vista senza rappresentazioni caricaturali frutto di pregiudizi che banalizzano una discussione seria». DISCUTIAMONE Sì, il dibattito sì. Se ne sentiva la mancanza almeno dall'ottobre 2008, quando la campagna di lancio dell'Unità di Concita De Gregorio (oggi dimissionaria) mostrava un'altra minigonna con una copia del quotidiano infilata nella tasca posteriore. C'è una sinistra che va pazza per queste discussioni di lana pecorina. Per ora è già intervenuta la consulta delle lesbiche, gay e trans del Pd: «Le critiche alla campagna della Festa dell'Unità sono ingiuste e sbagliate. Le festa, infatti, permetterà a migliaia di persone di confrontarsi sul futuro dell'Italia mettendo al centro i giovani, le donne, i gay e chi vive una cittadinanza dimezzata». Ne discuteranno per almeno un mese. È abbastanza normale che accada in un tempio festivaliero del politicamente corretto, dove una farcitura di dibattiti su ogni cosa (cabaret, film, musica, libri, teatro, tutto sorvegliatissimo) è guarnito da un apparente low profile imperniato su posate e bicchieri biodegradabili, stand riservati alla cosiddetta green economy, puntuale riciclo della spazzatura: peccato non invitare Luigi De Magistris. È normale - nel caso di quest'ultima polemica impastata, al tempo, di bigottismo e di femminismo d'antan - perché da un po' di tempo un certo fariseismo post-comunista forse sta rialzando la testa. Esempi? Gli scandali sessuali degli ultimi anni. La rivendicazione del Pd, in media, è sempre parsa questa: però i nostri, almeno, si sono dimessi, mentre Berlusconi è stato travolto ed è sempre lì. Disse Pierluigi Bersani, nel febbraio scorso, a proposito del popolo di sinistra: «Da noi c'è un civismo che non tollera ombre... Un'analisi onesta non può non partire da questa colossale differenza di comportamenti... La cosa più importante è cosa fai, come ti comporti, come reagisci, come fai vedere che noi non siamo loro. E fin qui ci siamo riusciti, a cominciare da Delbono». Che poi sarebbe l'ex sindaco di Bologna che, tra altre cose, aveva passato un bancomat comunale all'amante. Un ex sindaco che in realtà era inquisito per peculato e abuso d'ufficio e truffa aggravata, ma che in concreto lasciò la poltrona (gliela fece lasciare il Pd) soprattutto per aspetti morali e sessuali dei quali al centrodestra, per contro, non importava nulla. E così, infatti, chiosava Mirko Divani, il manager bolognese che aveva dato il famoso bancomat a Delbono: «Noi siamo gente cresciuta alla vecchia maniera, ci possiamo permettere di fare la morale agli altri». Poi c'è il caso dell'ex presidente della regione Lazio Piero Marrazzo: fu dapprima accusato di peculato, ma il problema era per tutti - anche e soprattutto per il Pd - che frequentava dei transessuali nonostante fosse un uomo sposato. Il problema fu morale, o moralista. Accadde anche a margine del caso D'Addario, quando nessuno contestò reati al presidente del consiglio ma la campagna fu egualmente furibonda. Anche per il caso Ruby, tutto sommato, l'aspetto strettamente penale resta quello che interessa meno ai giornali e all'opposizione. RADICI ANTICHE Può darsi che tutto questo abbia radici antiche. L'allergia dei vecchi dirigenti comunisti verso ogni forma di libertinaggio è abbastanza nota. Il vero compagno poteva andare in balera, ma in discoteca mai. Sul mitico Vie nuove si leggevano meraviglie come queste: «A differenza di quanto avviene nei dancing aristocratici, la danza, qui, non serve a pretesto per conversazioni, schermaglie, flirt; i danzatori sono raccolti in se stessi, intenti al ritmo, coscienti soltanto del gesto che devono compiere». Il virile proletario era opposto al molliccio borghese. E quando Pier Paolo Pasolini, denunciato nel 1949 per atti osceni, fu espulso dal Partito, l'Unità bollò «le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche». Un certo perbenismo di sinistra nacque allora. Sul periodico comunista Noi donne si apprendeva che il sano uomo comunista doveva distinguersi «per un sobrio comportamento eterosessuale, diverso da quello degli inetti rampolli della borghesia terriera che combinavano libertinaggio e oppressione sociale». Il sano uomo comunista, com'è noto, era però un giustificato frequentatore di casini e case di tolleranza. Può darsi che tutto questo, dicevamo, abbia a che fare, ora, con un rinato bigottismo impastato di femminismo. Ma può darsi anche di no. di Filippo Facci