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L'Inter nella testa di Moratti, tra futuro e toto-allenatore

Il patron "tradito" vuole riconquistare il club e lo farà nell'unico modo che conosce: ovvero spendeno tanti quattrini / Zazzaroni

Andrea Tempestini
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Oggi più che mai l'Inter è una società - di successo, per carità - a conduzione famigliare. L'unica del calcio italiano. C'è Massimo, il capo, che ascolta tutti e nessuno e a sessantasei anni è diventato più paziente e riflessivo: un tempo le decisioni importanti le prendeva seguendo l'umore del momento. È lui che paga. Poi c'è Mao, Angelomario, 38 anni, il delfino, il vice cresciuto all'ombra del padre: era addirittura presente al primo incontro con Mancini quand'era ancora il tormentato e tormentoso capitano della Samp - si dice che Branca sia stato scelto proprio perché gradito e vicino a Mao. Infine c'è Gigio, Giovanni, ventisettenne, l'astro nascente. Gli altri Moratti sono femmine. Ah, e ci sono gli amici, come Tronchetti.  Quando nella primavera del '95 Massimo acquistò la società da Ernesto Pellegrini pagandola qualche miliardo più del dovuto e pattuito, lo fece per passione e, in fondo, anche per compassione. Si pose subito un obiettivo, il più naturale, di famiglia: la riconquista della coppa dei campioni. L'ha centrato quindici anni e molti milioni dopo attraverso Mourinho, l'allenatore più caro - in tutti i sensi - e scostante di sempre.   CAMBIO DI ROTTA Dopo l'indimenticabile finale del Bernabeu e dell'addio con lacrime, ma solo del coccodrillo portoghese, è (temporaneamente?) cambiato il rapporto tra Massimo e l'Inter, e il calcio: colto da una sorta di appagamento-sfinimento,  per qualche settimana ha pensato di farsi da parte e concentrarsi sull'azienda passando la palla a Mao. Che in effetti ha portato a Milano Benitez - sempre Mao era lo sponsor più convinto e insistente di Capello. Che al padre non risulta simpatico. Benitez, che nel corso della stagione 2010-11 ha incassato uno stipendio dall'Inter e due penali da Juve e Real per un totale di 8 milioni di euro, non è mai andato a genio al capo: non aveva, non ha le caratteristiche del suo tecnico ideale (Mancini, Mou, Leonardo e Villas Boas, bravi, un paio bravissimi, e di immagine, trendy), inoltre non capì che la prima cosa che un allenatore deve fare quando ha la fortuna (e l'onore) di lavorare all'Inter è quella di coinvolgere il presidente nella vita del gruppo. Non appena Rafa ha avuto il coraggio di mettersi contro il capo, ovvero dopo la conquista del Mondiale per club (chi, quella sera, era vicino a Moratti afferma di non averlo mai visto così incazzato) ha perso il posto. Ma non i soldi: il capo è generoso e superiore e critico dell'avarizia.   Assumendo con una mossa a sorpresa il milanista Leonardo («intelligente e in gamba, potrebbe essere un ottimo direttore generale»: ma a Parigi) a fine dicembre Moratti s'è ripreso l'Inter. Nel corso dei sei mesi leonardeschi qualche dubbio sulle capacità tattiche del brasiliano se l'è pure posto, ma tutto sommato aveva deciso di andare avanti ancora un po'. Quando si è consumato il “tradimento” - Leo l'ha “avvisato” il venerdì: la notizia dell'incontro di Doha era uscita tre giorni prima - il capo ha metabolizzato in fretta la delusione e, riuniti i suoi (i due figli, Branca e Piero Ausilio, uno davvero in gamba) ha deciso di dedicarsi al sostituto.  Branca si era già mosso con Bielsa. Inutilmente: altro cambio di direzione, e subito dopo il no del Loco il ds si è rivolto a Mihajlovic garantendogli che sarebbe stato lui il nuovo tecnico. LUCIANO IL RUSSO Ma Sinisa è uomo d'onore e di contratto: ha spiegato a Corvino che sarebbe rimasto volentieri a Firenze, aggiungendo tuttavia che l'Inter rappresenta il traguardo della carriera. Lo stop a Sinisa l'ha imposto Moratti che ha suggerito altri due nomi: Villas Boas e Spalletti, clausola da 15 milioni per il primo e possibile rottura con i russi di Gazprom (Zenit, Schalke 04), amici della Saras più volte invitati dallo stesso Moratti a San Siro, per il secondo. Nel frattempo si è preso un'altra solenne incazzatura quando ha letto del “no” di Ancelotti da lui mai cercato: la puntualizzazione è stata pubblica ed energica perché «i fatti vanno, nella loro evidenza, vanno riportati per quello che sono». Un fatto è che Villas Boas gli ha detto subito «sì, ma la clausola...». Un altro è che anche Spalletti farebbe carte false per guidare subito l'Inter. Il terzo è che a Mihajlovic resta il voglino. La nuova pianificazione ritardata?, i desideri di fuga di Eto'o, Maicon e Lucio?, Sanchez dirotttato?, Sneijder dismesso? Questi, per Moratti, non sono fatti ma passaggi naturali e insomma un film già visto: lui riesce sempre a soddisfare anche le richieste più strampalate. di Ivan Zazzaroni

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