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E Santoro si aggrappa alla Rai. Non ha potere: stop a contratto

Comici, politica, spettacolo: il teletribuno ha sfornato un nuovo show fai-da-te. La strada di Michele, però, adesso è tutta in salita

Andrea Tempestini
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Se Michele Santoro è Sansone - e giovedì ha dato una prova di forza quasi biblica - il guaio è che i capelli sono la Rai. A Bologna il mattatore di Annozero ha fatto un salto di qualità mostruoso: si è permesso di stare un passo indietro, di mettere in scena un circo talmente “suo” da non richiedere nemmeno la presenza fisica sul palco per quasi metà della trasmissione-evento. Un domatore, con leoni sempre più belli, numerosi e vari. L'apoteosi - sotto telecamere “nuove” (Current tv, cioè Sky, e Repubblicatv, cioè De Benedetti), è stata con Roberto Benigni, che saltandogli addosso lo ha sollevato nell'empireo di Pippo Baudo, Enrico Berlinguer e Clemente Mastella (gli altri beneficati dai telegenici abbraccioni del comico e regista), ma è l'insieme a rendere il senso di una serata di potere e di potenza. Un contesto sindacale bello tosto (la Fiom e i suoi 110 anni), una città di sinistra ma forse non abbastanza (Bologna), il solito Vauro, i grandi guitti (Crozza e Guzzanti appaiono in video ed è come ci fossero), il bellicoso Landini, la precaria figlia dell'ex senatore Russo Spena, gli altri precari, l'inarrestabile pm Ingroia, i Subsonica e Daniele Silvestri, il monologo di un Travaglio perfettamente a suo agio nella dimensione teatrale e sarcastica, l'immancabile Ruotolo. Un'agenda politica e sociale compiuta, senza buchi, senza sbavature, coi tempi perfetti e i giusti equilibri, il pubblico adorante e pieno di indignazione. Una dimostrazione plastica di un Cencelli di lotta e di governo, a metà tra Bersani e Vendola, rosso ma quasi presentabile, forte del suo pubblico che nessuno può ignorare nel suo indistruttibile afflato demagogico. Al culmine di questo potere costruito ed esibito muscolarmente ieri, per Michele Santoro inizia il problema. Perché, posto che semplice presentatore non lo è da un pezzo, ieri è diventato qualcosa di più che un aspirante produttore: è un editore che porta in giro il suo format permettendosi il lusso di stare dietro le quinte, tanto il suo marchio è chiaro e riconoscibile. Come un editore tratta alla pari con gli editori: sfancula i direttori generali, si permette considerazioni sui conflitti di interessi dei grandi gruppi (l'ha fatto con Telecom), si rivolge direttamente al presidente del Consiglio: insomma, è bello caldo. Problema: il trionfo di ieri sera chi è disposto a pagarlo come la Rai? Dove, se non ben annidato nel comodo ruolo di martire di viale Mazzini, Michele Santoro gode dello stesso effetto attrattivo e del potere proiettivo sul suo pubblico? Perché Serena Dandini può ben salire sul palco annunciandolo con la maglietta “Rai pride”, ma l'altro sale e urla per farsi - appunto - «tenere dalla Rai», la stessa azienda dalla quale ha consensualmente divorziato e di cui già pare avere un disperato bisogno. La Stampa ieri spiegava con un articolo di Paolo Festuccia che da La7 tutta questa passione per Santoro sembra infatti essere sopita, proprio a causa dell'irruenza eccessiva mostrata in una fase bollente della trattativa. Michele tutto può essere considerato, meno che uno sprovveduto: se ha attaccato a viso aperto Telecom dicendo che «non può fare campagna acquisti perché altrimenti il governo potrebbe usare tutti i mezzi per sparare» contro la compagnia telefonica sapeva le conseguenze a cui andava incontro. Perché, sia in termini di ascolti sia in termini di peso politico, Santoro è Santoro se si alimenta della dialettica furibonda con la Rai, se è il lottatore da dentro che coniuga dogma e bestemmia, assedio e poltrona, contestabilità e visibilità. Senza, rischia di essere solo un grande presentatore. La botte di Santoro non è mai stata così piena, ma in giro per ci sono mogli che hanno perso la voglia di bere. di Martino Cervo

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