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Referendum, ha vinto Putin: senza atomo il trionfo Gazprom

Tramonta, insieme al nucleare, la chance di diversificare produzione elettrica: ci teniamo il 74% che deriva da fonti fossili. Sospetti Usa

Andrea Tempestini
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A essere dietrologi un po' più svegli di quelli che girano a sinistra, ci sarebbe tanto da ricamare su quella frase con cui Silvio Berlusconi, a referendum ancora in corso, poco prima di pranzo ieri ha commentato il risultato che stava uscendo dal voto: «Dovremo dire addio all'opzione delle centrali nucleari e impegnarci sul fronte delle energie rinnovabili». I suoi avversari hanno subito strillato che il premier parlava per demotivare chi voleva andare ai seggi, ma come spesso accade non ci hanno capito nulla. A quell'ora, infatti, il quorum era stato superato: lo sapeva il Viminale, lo sapeva la presidenza del Consiglio, lo sapevano gli italiani. E allora perché Berlusconi si è mostrato così docile, arrendendosi senza battere ciglio, a urne aperte? Di sicuro l'abrogazione della norma che autorizzava la costruzione delle nuove centrali nucleari italiane non rappresenta un problema per le strategie internazionali del premier. Al contrario: le rafforza. Il ritorno al nucleare, che in realtà il governo aveva abbozzato con scarsa convinzione, sarebbe stato infatti il primo vero tentativo di diversificazione delle fonti del nostro sistema elettrico, oggi basato sul gas. Allo stato attuale l'elettricità prodotta in Italia è generata per il 52% bruciando metano. La media europea è del 24%: siamo il paese che più dipende dal gas. Nel complesso le fonti fossili, ovvero gas, carbone e petrolio, danno il 74% dei chilowattora made in Italy. Il resto arriva dalle rinnovabili (soprattutto dal vecchio idroelettrico, nonostante le fanfare suonino solo per il solare e l'eolico), che valgono un quarto della produzione. La Russia, forte di una quota del 30% e della partnership tra Gazprom ed Eni, avviata dal governo Prodi e cementata con Berlusconi, è il nostro secondo fornitore di gas dopo l'Algeria. Il piano del governo italiano prevedeva di far partire le nuove centrali atomiche entro il 2020, per arrivare dopo qualche anno a un mix di combustibili composto per il 50% dalle fonti fossili, il 25% dalle rinnovabili e il restante 25% dal nucleare. In parole povere, la quota di elettricità oggi prodotta mediante gas e - in misura minore - carbone e petrolio si sarebbe dimezzata, per lasciare spazio al ritorno dell'atomo. Avremmo consumato meno metano e avremmo avuto bollette un po' più leggere. Di sicuro i russi non ci avrebbero guadagnato, ma grazie al referendum questo non accadrà. Al di là degli slogan, nessuno crede davvero che le rinnovabili possano produrre una quota di elettricità come quella che avrebbe dovuto essere garantita dal nucleare; anzi, è probabile che il loro apporto rimanga sui valori attuali. I fossili resteranno quindi i grandi protagonisti dell'energia italiana nei prossimi decenni. E tra gas e carbone (il petrolio ormai ha un ruolo residuale), non c'è dubbio che sia il primo, sebbene più costoso, ad avere maggiore appeal politico, come dimostra il blocco imposto poche settimane fa dal Consiglio di Stato alla riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. Insomma, andremo avanti a metano ancora a lungo, per la gioia di Gazprom e del Cremlino. Ma motivi per festeggiare l'esito del voto non ne avrebbero solo a Mosca, se ci fosse qualcosa di vero nei cable inviati a Washington dall'ambasciata statunitense di via Veneto. I legami tra Berlusconi e il premier russo Vladimir Putin sono da tempo sotto la lente degli americani e dei loro alleati. «Esponenti della maggioranza di centrodestra e dell'opposizione del Pd credono che Berlusconi e i suoi amici stiano approfittando personalmente e in modo generoso dei tanti accordi intercorsi tra l'Italia e la Russia», scriveva allarmato l'ambasciatore Ronald Spogli al Dipartimento di Stato il 26 gennaio del 2009 in un documento segreto, reso poi pubblico da Wikileaks. «L'ambasciatore georgiano a Roma», proseguiva Spogli, «ci ha detto che il suo governo crede che Putin abbia promesso a Berlusconi una percentuale dei profitti che vengono da Gazprom, in collaborazione con l'Eni». Tra chi ha preso molto sul serio questi veleni, ovviamente mai provati, ci sono i vertici del Pd e dell'Idv. Tonino Di Pietro ha chiesto: «Qual è la vera natura dei rapporti tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin? Si limitano a scambiarsi doni sontuosi o vanno oltre e aggiungono al rapporto d'amicizia anche quello di soci in affari?». E Bersani ha detto che «bisogna arrivare a un cambiamento» nei rapporti tra Italia e Russia. Eppure, se fosse vero quello che loro stessi insinuano, proprio Di Pietro e Bersani, regalando a Gazprom un futuro d'oro tramite il referendum, avrebbero fatto al Cavaliere il più grosso dei regali. di Fausto Carioti

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