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Giappone, "Ricostruzione a rilento". E i messinesi?

A 3 mesi dallo tsunami "pronta solo la metà di 52mila abitazioni". In Sicilia, 100 anni dopo il maremoto, vivono ancora nelle baracche

Giulio Bucchi
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I giapponesi non hanno pazienza. O almeno, non quanto gli italiani. A tre mesi dal disastroso terremoto di 9° di magnitudo e il conseguente, ancora più tragico tsunami, le zone colpite sono ancora parzialmente distrutte. Il maremoto, che ha lasciato sul campo circa 24mila vittime tra morti accertati e dispersi, ha devastato in particolare le prefetture di Miyagi e Iwata. Il governo di Tokyo ha annunciato almeno 10 anni di lavori e 235 miliardi di dollari per la ricostruzione. Cifra impressionante, come i danni testimoniati dalle fotografie della gallery. I primi interventi, in realtà, sono arrivati celermente: già ad aprile erano stati ripristinati i collegamenti stradali e ferroviari e molti degli sfollati hanno potuto far ritorno nelle aree colpite, se non nelle proprie case. Le macerie dell'11 marzo, però, sono ancora ben visibili, triste simbolo di un Paese che sta cercando faticosamente di ricostruire le cose e il morale. Il sito Kyodo News denuncia i ritardi: solo metà delle 52mila abitazioni temporanee (nella foto, un comparto prefabbricato) sono state completate e il 60% di queste non è stato ancora assegnato. L'ESEMPIO ITALIANO - Cosa dovrebbero dire gli abitanti di Messina? Loro il terremoto-maremoto lo hanno subito oltre 103 anni fa, il 28 dicembre 1908. Sugli allora 133mila residenti, ne morirono circa 80mila. La ricostruzione? Baracche di legno e di lamiera, sopravvisute anche ai bombardamenti alleati e arrivate fino ai giorni nostri, nonostante nel 1990 fossero stati stanziati cinquecento miliardi delle vecchie lire. Ad oggi, sono stati utilizzati soltanto 80 milioni di euro, il 31% della cifra messa in preventivo.

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