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Colleziona errori pur di farsi vedere: è De Magistris

Sue inchieste sono sempre state accompagnate da un grande clamore mediatico. Risultato? Tutti assolti...

Andrea Tempestini
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Facciamoci del male e tentiamo di riesumare le rumorosissime inchieste del tardo De Magistris, un pm  che chiamò i suoi procedimenti «Poseidone», «Why not» e «Toghe lucane»: già questo meritava seri interrogativi. A complicare le cose, anzitutto, è il fatto che spesso le inchieste erano intrecciate tra loro, e gli indagati spuntavano e rispuntavano da faldone all'altro. L'inchiesta Why not. L'indagine più rumorosa rimane (rimaneva) Why not, che prendeva il nome da una società di Lamezia Terme che forniva alla Regione dei tecnici informatici. Una dei soci ed amministratore della Why Not, Caterina Merante, diede il via a  indagini che ipotizzavano un gruppo di potere trasversale tenuto insieme da una loggia massonica coperta: la «La Loggia di San Marino». Questa loggia, secondo il pm, influiva sulle scelte delle amministrazioni pubbliche per l'utilizzo di finanziamenti e per l'assegnazione di appalti: De Magistris indagò   19 persone per associazione per delinquere, truffa, corruzione, violazione della legge Anselmi e finanziamento illecito dei partiti. Il 18 giugno 2007 il pm fece eseguire dai carabinieri 26 perquisizioni nei confronti, tra altri, di Pietro Scarpellini, consulente non pagato della Presidenza del Consiglio; nell'inchiesta risultarono indagati anche il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, il consulente Luigi Bisignani e il senatore Giancarlo Pittelli di Forza Italia, anche se il ruolo centrale doveva appartenere all'imprenditore Antonio Saladino, allora presidente della Compagnia delle Opere della Calabria. Altri indagati furono il generale Paolo Poletti (capo di Stato Maggiore della Guardia di Finanza) e poi il diessino Nicola Adamo e il margheritino Mario Pirillo e altri ancora.  È  l'inchiesta nota per il famigerato «scontro tra procure», coi togati di Catanzaro e Salerno a litigare meritandosi i primi interventi del Csm.  Morale: l'avviso di conclusione indagini fu notificato a 106 persone tra le quali l'ex presidente della Regione Calabria Agazio Loiero e il suo predecessore Giuseppe Chiaravalloti. L'indagine ruotava anche attorno a dei presunti contatti tra l'imprenditore ciellino Antonio Saladino e l'allora presidente della Commissione Europea Romano Prodi: ma poi risultò che c'era stato soltanto un rapporto amichevole tra Prodi e questo Saladino   e la cosa finì in nulla. Poi c'è il caso di Clemente Mastella: negli atti dell'inchiesta figurano  alcune intercettazioni   riguardanti  il ministro della Giustizia, che in precedenza aveva chiesto il trasferimento di De Magistris: da immaginarsi il bailamme sui giornali. Anche la posizione di Mastella alla fine sarà archiviata, mentre a scomparire dai capi di imputazione fu anche la violazione della Legge Anselmi sulle organizzazioni segrete: in pratica non rimase in piedi quasi nulla, anche perché la procura di Roma   avocò l'indagine e si accorse che non stava in piedi. Venne anche fuori che le dichiarazioni di Caterina Merante - principale teste d'accusa in Why  - secondo i giudici «costituiscono un'ipotesi congetturale espressa in maniera del tutto opinabile e possibilista… presentandosi prive di contenuto penalmente rilevante». La Merante finì imputata per diffamazione. E la famigerata «Loggia di San Marino»? Ben due questure appurarono che in pratica non era mai esistita.   Il 2 marzo 2010 ci fu il processo con rito abbreviato e il gup   assolse 34 dei 42 imputati accusati di peculato, truffa e abuso d'ufficio. Caddero tutte le ipotesi di associazione per delinquere, corruzione, peculato e truffa. L'imprenditore Antonio Saladino è stato condannato a due anni di reclusione (pena sospesa) soltanto per concorso in abuso d'ufficio. Altri scelsero il giudizio ordinario, ma il gup dispose 28 assoluzioni e 27 rinvii a giudizio per tutt'altre questioni rispetto alle cosmogonie disegnate da De Magistris. L'inchiesta Toghe lucane. De Magistris si mise in testa che un altro «comitato d'affari della Basilicata contemplava a vario titolo  politici, magistrati, avvocati, imprenditori e funzionari vari. La guardia di Finanza, perciò, nei primi mesi del 2007 fu spedita a perquisire le abitazioni e gli uffici, tra altri, del sottosegretario allo Sviluppo economico Filippo Bubbico (Ds) e del procuratore generale di Potenza Vincenzo Tufano e  dell'avvocato Giuseppe Labriola e della dirigente della Polizia Luisa Fasano. Altro bailamme: si ipotizzavano anche corruzione in atti giudiziari e associazione per delinquere aggravata. Il diessino Bubbico, secondo il pm, era «il punto di riferimento politico apicale, unitamente ad altri appartenenti alla politica», nel famigerato «comitato di affari» al centro di un'inchiesta che intanto era pompatissima dalla stampa (in particolare dagli articoli di Carlo Vulpio del Corriere dell Sera, poi eurocandidato con Di Pietro)  e per farla breve: non è rimasto niente. Per quasi tutti i 30 indagati è stata richiesta l'archiviazione o l'assoluzione. Ed è stato per alcune presunte irregolarità nella gestione di «Toghe lucane» che ministro della Giustizia   Mastella chiese il trasferimento cautelare di De Magistris: anche se il gip di Salerno Maria Teresa Belmonte, nel 2009, ha prosciolto il pm che intanto si era dimesso da mesi. Morale: nel marzo 2011 tutta l'inchiesta è stata archiviata dal gup di Catanzaro Maria Rosaria di Girolamo, che ha definito l'impianto accusatorio «lacunoso» e tale da non presentare elementi «di per sé idonei» a esercitare l'azione penale. Tutti prosciolti.

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