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Grasso a Alfano: "No a dialogo con chi ci dà schiaffi"

Polemica tra procuratore e ministro. Ma è governo dei fatti: 20 mld in sequestri e arriva codice antimafia

Andrea Tempestini
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"Come dialogare con chi ci prende a schiaffi?". Nel giorno del ricordo di Giovanni Falcone a 19 anni dalla sua morte per mano della mafia, si riaccende la polemica tra politica e magistratura. Nell'Aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, teatro del maxi processo e delle celebrazioni l' anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso va giù piatto contro l'azione del governo e le proposte di riforma esposte dal ministro della Giustizia Angelino Alfano. "La pietra angolare della nostra riforma - dice il Guardasigilli rivolto alla platea di studenti ed istituzioni- è la parità tra l'accusa e la difesa e le separazioni delle carriere", un punto, quest'ultimo, per cui Falcone si è a lungo battuto. "Falcone voleva l'autonomia e l'indipedenza della magistratura - ha ribattuto Grasso - però non si può pensare di dichiarare nella Costituzione il pm autonomo e indipendente e poi togliergli la direzione delle indagini". Se qualcuno si aspettava segnali di distensione, è rimasto deluso: "La delegittimazione rende tutto più difficile - ha continuato il procuratore nazionale a proposito delle 'trattative' con l'esecutivo -. E' come pensare di dialogare con chi ci prende continuamente a schiaffi". Il confronto, aspro, mette in secondo piano anche i complimenti reciproci che Alfano e Grasso si sono scambiati. "Il procuratore non è al servizio dei politici", ha riconosciuto il ministro a sua volta elogiato dal procuratore e definito come un "politico che percepisce al volo le priorità". IMPEGNO CONCRETO - Il muro contro muro rischia di mettere in secondo piano i successi del governo nella lotta alla criminalità organizzata. "Al prossimo Consiglio dei ministri porterò il nuovo codice antimafia", ha annunciato Alfano -: prevede una sistematica raccolta e un rafforzamento delle norme che finora come ceneri e lapilli sono state disperse nell'ambito dell'ordinamento e sono venute fuori negli ultimi ventanni". L'impegno del governo Berlusconi, ha ricordato il Guardasigilli, poggia su tre pilastri: "La cattura dei latitanti, la loro reclusione al 41 bis e l'aggressione ai patrimoni dei mafiosi". Una azione congiunta che ha dato frutti importanti: "Oggi da Palermo, la città di Falcone e di Pio La Torre, - ha ricordato il ministro - è bello dire che la consistenza totale dei patrimoni liquidi e immobili sequestrati alla criminalità organizzata ormai si aggira intorno ai 20 miliardi di euro". La lotta, però, non si ferma. "Ora l'obiettivo è la cattura di Matteo Messina Denaro". Alfano ha poi sottolineato come i collusi che siedono in Parlamento "se ne devono andare e le leggi sono fatte per cacciarli, quando uno viene condannato deve andare via. Se poi i partiti politici hanno la forza di cacciarli prima è ancora meglio, lo dico chiaramente". "OTTO ARRESTI AL GIORNO" - Anche il ministro degli Interni Roberto Maroni ha snocciolato le cifre del successo del governo contro il crimine organizzato. "Abbiamo calcolato che negli ultimi tre anni abbiamo arrestato grazie alla polizia, ai carabinieri e alla magistratura, otto mafiosi al giorno in media e oltre trenta latitanti di massima pericolosità, senza dimenticare l'aggressione ai patrimoni della mafia - ha spiegato il ministro -. Ciò dimostra l'efficacia e l'efficienza dell'azione dello Stato, ma anche quanto lavoro ancora rimane da fare".

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