Strauss-Kahn, le signore "grandi firme" lo linciano ancora prima del verdetto
Maria Laura Rodotà e Lidia Ravera sono scatenate contro le donne che osano difendere "il mostro": moglie e figlia
La vicenda di Dominique Strauss-Kahn, ex direttore del Fondo monetario internazionale accusato di aver stuprato una cameriera del Sofitel di New York, ha avuto un tetro effetto collaterale: ha risvegliato il primordiale istinto femminista delle editorialiste italiane. Le signorine Grandi Firme hanno temperato i canini e da giorni latrano contro il maschio oppressore, animale in calore che approfitta delle donne economicamente e socialmente inferiori. In nome della battaglia di genere, raffinate dame come Maria Laura Rodotà e Lidia Ravera sono disposte a cancellare lo Stato di diritto, la presunzione d'innocenza e qualsiasi forma di tutela giuridica dell'accusato pur di assistere a una punizione esemplare che colpisca - possibilmente in maniera fatale - l'economista sessantaduenne. Poco importa che non sia ancora stato giudicato colpevole: sacrosanto il linciaggio, auspicabile la castrazione. Le Furie della carta stampata, tuttavia, non si limitano a ringhiare all'indirizzo di Strauss-Kahn, il quale certo non è un mostro di simpatia e umanità. Ma se la prendono soprattutto con le (pochissime) donne che nelle ultime ore hanno osato esprimere la propria opinione - garantista - sul caso. Ieri sul Corriere della Sera la Rodotà si è avventata su Carmen Llera Moravia, vedova dello scrittore Alberto e amica dell'ex numero uno del Fmi. Il quotidiano di via Solferino, tre giorni fa, ha pubblicato stralci di un libro della Llera edito da Bompiani e intitolato Gaston, una «storia di abbandono e piacere sadico» che, si dice, avrebbe come protagonisti proprio la bella Carmen e Strauss-Kahn (il cui secondo nome, guarda caso, è Gaston). Venerdì, la signora Moravia ha replicato con una lettera in cui spiegava che Gaston è «pura finzione letteraria», ha ammesso senza vergogna di essere intima del francese («lo frequento da anni») e ha detto: «Non sono mai stata una sua vittima come qualcuno ha scritto, non è un uomo crudele, primitivo o sadico, la violenza non fa parte della sua cultura, ama il sesso, so what? (e allora, ndr) non mi sembra un delitto». Nella smentita, poi, congetturava: «Non so cosa sia successo nella suite del Sofitel, probabilmente c'è stato un rapporto consenziente, ma escluderei la violenza sessuale». In soldoni: il Corriere attribuisce alla Llera un ritratto dell'economista francese dai tratti sadici e perversi; lei interviene per rettificare e aggiunge che, per come ha conosciuto l'amico Dominique, le sembra impossibile che sia un bestiale violentatore. Stop. A Maria Laura Rodotà, gran cronachista di salotti, è andata di traverso la tartina al caviale di mezzodì: ha preso penna e calamaio e ha sfornato una risposta da Grande Inquisitrice. «Perché (...) una donna intelligente corre, con una lettera, in aiuto di un uomo accusato di stupro?», si domanda. Rispondiamo noi: forse perché DSK è appunto «accusato» e non ancora «colpevole»? Nulla da fare: per Maria Laura, Dominique più che un Kahn è un maiale. «E il garantismo delle élite europee (...) rischia di far male, nel medio termine, a tutte le vittime di stupro». Ecco, dopo questa frase capiamo perché il titolista del Corriere ha battezzato il pezzo della Rodotà «l'analisi». In analisi dovrebbe andarci chi scrive cose del genere. Se uno viene accusato di violenza sessuale non può difendersi? Per la Rodotà quel che è avvenuto al Sofitel è di chiarezza cristallina, tanto da invocare la gogna per Strauss-Kahn e la Llera? Secondo l'Amazzone di Via Solferino, Carmen dovrebbe genuflettersi alla Dea Vagina, in nome della solidarietà femminile, e rigettare il suo «gusto del politicamente scorretto» che «può diventare una pericolosa, e costrittiva, forma di conformismo». Simili argomentazioni da femminista mannara ha utilizzato anche Lidia Ravera (autrice di Porci con le ali, libro intriso di scopate) martedì sul Fatto, macellando Anne Sinclair, la moglie dell'economista. Ella dovrebbe, per «decenza femminista», smettere di «negare l'evidenza» e «mettersi (...) dalla parte della stuprata». Nemmeno la consorte può provare pietà per il marito accusato. Ci piacerebbe sapere di quali informazioni sono in possesso, per sfoderare tali granitiche certezze, le donzelle dalla penna acuminata almeno quanto i tacchi. Probabilmente, pensano che tutti i maschi in fondo siano dei suini, dunque bisogna colpirne uno (prima del verdetto) per educare tutto il porcile. Per punire un - presunto - stupro, le due miss italiche sono disposte a stuprare i diritti fondamentali dello Stato liberale. È il primo caso di turismo sessuale della democrazia. di Francesco Borgonovo