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Pd non deve gioire: Grillini e Idv sono le spine nel fianco

Bersani esulta? Solo un bluff: da De Magistris a Pisapia è vera vittoria solo per quei candidati alternativi ai dem

Giulio Bucchi
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«Si va al ballottaggio, ma non ci va il candidato del Pd». Enzo Bianco, alle otto di sera, sintetizza quello che al Nazareno, per tutto il pomeriggio, in tanti avevano mormorato, incrinando i trionfalismi degli uomini di Bersani. A Milano e a Napoli strappano i ballottaggi il candidato di Sel, Giuliano Pisapia, e quello dell'Idv, Luigi De Magistris. Nelle quattro città più grandi, l'unico candidato democratico a vincere bene è Piero Fassino (ma con dieci punti in meno rispetto a Sergio Chiamparino). Virginio Merola, nella ormai sempre meno rossa Bologna, a tarda sera oscilla ancora intorno al 50%, con i grillini che sfiorano il 10% e un Pd che continua scendere. Mentre a Napoli Mario Morcone, il candidato democratico, crolla al 20%, sorpassato da De Magistris. Intanto a Cagliari strappa il ballottaggio il candidato di Sel che aveva battuto alle primarie quello del Pd. «Da oggi siamo ostaggio di Vendola, di Di Pietro e dei grillini», fa l'amaro bilancio un popolare. Di sicuro va in soffitta qualunque ambizione maggioritaria, a vantaggio della coalizione larga spostata a sinistra (a Olbia la santa alleanza, da Fli a Sel, a sera è in vantaggio). Naturalmente Pierluigi Bersani non la vede così. Milano, con Pisapia che conquista il secondo turno in vantaggio sulla Moratti, cancella ogni ombra. «Vinciamo noi e perdono loro», dice alle sette di sera nella sala stampa al Nazareno. Parla di «vento dal Nord», di «crisi del blocco PdL-Lega», prevede una «crisi di governo» dopo il secondo turno. Non solo il centrosinistra vince, ma «il Pd ottiene risultati notevoli». A Milano, sì vince Pisapia, «ma il Pd è oltre il 28%». Il disastro di Napoli, dove Morcone, il candidato democratico, è escluso dal ballottaggio? «L'importante è che il centrosinistra è in grado di vincere». Quanto al successo dei grillini, che anche a Torino viaggiano sul 5%, prova a corteggiarli: «Se fai un partito, devi decidere». Un piano sotto, però, dove è riunito tutto lo stato maggiore del partito, l'analisi è molto meno ottimistica. «Nonostante Berlusconi crolli», ragiona Beppe Fioroni coi suoi, «noi non riusciamo a essere un'alternativa valida». Il caso più bruciante è Napoli, dove si chiude nel peggiore dei modi un ciclo di quindici anni. Il candidato del Pd non solo è escluso dal ballottaggio, ma prende meno voti della coalizione, al contrario di De Magistris. «I nostri hanno fatto il voto disgiunto», riflette un dirigente di quella zona. E il Pd crolla al 18%, contro il 31,3% preso dalla somma di Ds e Ppi alle amministrative del 2006. A Bologna va bene, sì. Ma si conferma un trend in discesa: il Pd è circa al 38% contro il 43,5% di Ds e Margherita nel 2006. E anche a Torino, dove pure Fassino vince bene, il Pd perde circa cinque punti rispetto alle ultime Amministrative. Al secondo piano del Pd l'altro tema di riflessione sono le alleanze. Il risultato deludente del terzo polo, l'exploit dei candidati di sinistra e il successo dei grillini mettono in crisi lo schema Pd-terzo polo. L'ha capito Marco Follini che mette in guardia Bersani: «La crescita della sinistra radicale costituisce il principale rischio per il Pd». Un timore che ammette anche il numero due del partito, Enrico Letta: «I dati sono due: Berlusconi ha perso, i grillini hanno vinto». La conferma è la soddisfazione di chi tifa per un'alleanza Pd-Idv-Sel: «Ha vinto il centrosinistra classico», mette in chiaro Pippo Civati. La scommessa di un'alleanza riformisti-moderati esce perdente. E ancora bisogna vedere come finirà al secondo turno. «Con un altro candidato potevamo vincere al primo turno», riflette un veltroniano a proposito di Pisapia. Se la battaglia è vinta, la guerra no. «Per arrivare al 50%», osserva Letta, «serviranno i voti dei moderati». Pisapia ce la farà a conquistarli? Fatto il pieno a sinistra, bisogna prendere voti dall'altra parte. Ed è tutta un'altra storia. di Elisa Calessi

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