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Se l'avvocato è di sinistra, allora i pm lo difendono

Il caso televisivo tra Moratti e Pisapia permette un'analisi dei difetti della magistratura e della borghesia milanese

Andrea Tempestini
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Magari non gliene fregherà niente a nessuno, ma il caso televisivo Pisapia-Moratti permette anche di soffermarsi sui difetti ormai storici della nostra magistratura e di una certa borghesia milanese che l'ha spesso sostenuta. Un caso, badateci, che è stato ampiamente squadernato sin da subito: l'errore materiale di Letizia Moratti è stato rilevato immediatamente - Pisapia alla fine fu assolto da ogni accusa - dopodiché in tre secondi netti sono saltate fuori tutte le carte, i faldoni, il dibattito, le opinioni, tutto quanto: giornalisti e politici hanno occupato la scena com'è normale che sia e la discussione si è poi   spostata su un piano cosiddetto politico, il brodo di coltura, le frequentazioni giovanili, queste cose. Bene. A questo punto andrebbe spiegato quanto fosse necessario che intervenisse anche un magistrato, cioè Armando Spataro; dovrebbe spiegare, lui, quanto fosse indispensabile che il medesimo si facesse largo con interviste radiofoniche, lanci Ansa, precisazioni varie e infine una telefonata televisiva in diretta, a Exit, su La7. IL PM INTERVENTISTA Spataro era giudice istruttore durante il primo processo a Pisapia, 34 anni fa, e fu l'accusatore che contribuì alla sua temporanea condanna: avrebbe potuto spiegare, al limite, come mai si sbagliò, che cosa l'indusse a comminare una condanna poi riformata, magari poteva aggiungere qualche dettaglio che non era stato chiarito. Non ha fatto niente di tutto questo, anche perché, come detto, la faccenda era già stata sviscerata a dovere: infatti si è limitato a dire che trovava «strumentale e incredibile che si possa tirar fuori questa vicenda» e che trovava «singolare che si strumentalizzino» faccende del genere. Poi ha chiuso così: «Mi ha sorpreso sentir dire dal sindaco Moratti che l'amnistia non equivale all'assoluzione piena: se questo vale per l'amnistia, a maggior ragione vale per la prescrizione, ma la prescrizione non equivale affatto a un'assoluzione». Un evidente riferimento, tenuto insieme con lo sputo, alle prescrizioni di Berlusconi, roba che con tutta la questione non c'entrava niente.   Ora la domanda che si pone da sola: ma chi l'aveva invitato, Spataro? Era necessario il suo intervento? Qualcuno l'aveva chiamato in causa? Soprattutto: si rende conto che sono proprio i comportamenti come il suo a offrire il fianco a tutta la retorica sulle celebri toghe rosse? Già, perché nei fatti quella di Spataro è traducibile come un'indiretta difesa del candidato Pisapia a due giorni dal voto, con tanto di stoccata al suo avversario politico locale e nazionale. E dirlo sarà anche retorico, ma immaginatevi un magistrato che di punto in bianco intervenga - comunicati, interviste, telefonate - per difendere una sentenza a favore di Berlusconi: avrebbe finito di vivere. Ecco perché l'uscita di Spataro finisce per prospettarsi unicamente come un pretesto per poterci essere, per far parte dei complessivo bailamme pre-elettorale, insomma una rivendicazione di potere e di ruolo.  Non c'entra la libertà di parola e di opinione: quella c'è, figurarsi, ma saperla dosare è un presupposto della funzione che si occupa, e la magistratura non può pretendere i privilegi e lo status di una casta sacerdotale - ciò che rivendica sempre - ma anche la facoltà di zittire Giorgio Stracquadanio in un dibattito televisivo. LA BORGHESE CEDEVOLE E veniamo a Letizia Moratti, anche se a dire quel che si pensa - da parte di chi scrive - si rischia di fare lo stesso errore attribuito a Spataro: risultare indirettamente schierati. Ora: sarà anche vero che «in campagna elettorale si possono capire tanti comportamenti che poi non saranno quelli di quando si dovrà governare insieme», come ha detto ieri Silvio Berlusconi nel commentare l'incidente tra Pisapia e il sindaco. Così come è vero - e lo hanno detto chiaramente vari esponenti della Lega - che la Moratti però ha detto una bugia punto e basta, con le unghie o senza, sicché forse è vero, «non vale la pena ricorrere a questi strumenti, veri o falsi che siano», come ha detto Roberto Calderoli. Il punto è che il riflesso di Letizia Moratti non è per niente nuovo: lo era visto di recente col Roberto Lassini dei manifesti giudici-Br (che pensa cose più che compatibili con le opinioni di Silvio Berlusconi sui magistrati) e meno di recente con l'ex assessore all'ecologia Paolo Massari, dimissionato per un'accusa di molestie in realtà mai neppure formalizzata; lo si vide, ancora, nel 1995, quando da presidente della Rai Letizia Moratti stracciò dei contratti giornalistici soltanto perché gli intestatari erano stati intercettati in linea con Hammamet. Al di là dei singoli esempi, è il riflesso sbrigativo e liquidatorio di quella certa borghesia milanese - tra Letizia e la cognata Milly, in questo, le differenze sono minime - che in altre stagioni abbracciò la magistratura con la stessa disinvoltura con cui ora tende a disdegnarla. Mettete insieme i due soggetti - lo Spataro interventista, la Moratti liquidatoria - e avrete Mani pulite. Con stampa e striscioni al seguito.

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