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Obama: "Niente foto-splatter di Osama" Errore degli Stati Uniti. Dov'è la prova?

Il presidente sbaglia: senza quello scatto fioriscono i sospetti e gioiscono i teorici del complotto / MUGHINI

Andrea Tempestini
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Dopo due giorni di voci, polemiche, mezzi passi e marce indietro, il presidente degli Stati Uniti ha deciso: le foto di Osama Bin Laden ucciso non verranno mostrate perché sono troppo violente. Il rischio è quello di incendiare gli animi nel mondo arabi: è una questione di sicurezza nazionale. Intanto, però, spuntano altre foto del blitz, e non sono certo immagini 'leggere' (guardale: immagini non adatte a persone sensibili). Segue il commento di Giampiero Mughini sulla decisione della Casa Bianca. Col nome di Osama bin Laden era stato un assassino di massa tra i più spaventosi della storia del mondo. Fanatico dell'islamismo il più radicale e totalitario, nella sua carriera di killer aveva fatto ammazzare più musulmani che non musulmani. Diceva di “amare” la morte più di ogni altra cosa, tanto che faceva mettere a morte gli innocenti i più innocenti, quelli in mezzo ai quali e del tutto a caso era possibile far esplodere una bomba-uomo, e poco importa che fossero uomini o donne o bambini. Poco importa che fossero civili o uomini in divisa, quel professionista del Terrore voleva ancora morti. Ancora e ancora, cataste di morti. Rideva tranquillo e soddisfatto quando raccontava ai suoi soci del crimine com'è che le due Torri newiorchesi fossero andate giù travolgendo la vita di poco meno di tremila americani. Adesso è toccata a lui. A questo punto ci saremmo aspettati dagli Usa la decisione di pubblicare tracce e foto che ci aiutassero a comprendere lo svolgimento dell'azione per come ci è stata raccontata e ce ne dessero certezza. Altrimenti sarà inevitabile il fiorire di teorie e sospetti da parte di quanti ci sguazzano nel brodo dell'antiamericanismo sempre e comunque. Se c'è stato chi s'è detto convinto che gli americani nel settembre 1911 le Torri le abbiano buttate giù loro, figuratevi se mancheranno quelli che si diranno sicuri che lo sceicco del Terrore è ancora vivo, recluso chissà dove, magari torturato chissà dove. Per adesso atteniamoci ai fatti per come ci vengono raccontati. Pare che Osama fosse disarmato al momento in cui gli uomini dei reparti d'assalto sono piombati nella stanza al terzo piano della sua villa-nascondiglio, e dunque non è vero che è caduto in uno scontro a fuoco in cui si sparava da una parte e dall'altra. La figlia dodicenne di Osama, testimone oculare dell'azione, dice che i soldati americani lo hanno preso vivo e poi ucciso a freddo. Una morte e un cadavere squarciato le cui foto lo stesso Presidente Obama giudica “raccapriccianti”, e ammesso che ci siano volte in cui la morte data con violenza non lo sia: di certo erano raccapriccianti le foto del cadavere di Benito Mussolini appeso per i piedi nella tragica piazza milanese, la foto di Nicoleae Ceausescu e di sua moglie crivellati dai colpi dopo un processo farsa, l'impiccagione di Saddam Hussein. Mai in una guerra la resa dei conti ha avuto le parvenze di un cerimoniale elegante. Non lo è stato il processo di Norimberga, a cominciare dal fatto che fra i giudici sedevano i rappresentanti di un regime (quello sovietico) che quanto a crimini contro l'umanità non era secondo a nessuno. Non lo furono le bombe di Hiroshima e Nagasaki, che misero fine a un conflitto in cui la conquista di ogni isolotto costava la vita di americani e giapponesi a decine e decine di migliaia. Da subito si sono alzate le voci “garantiste” di chi avrebbe voluto un esito diverso a questa caccia all'uomo durata quasi dieci anni; di chi avrebbe voluto che il “most wanted man” fosse catturato e processato, e non freddato con una raffica sparata in una stanza da letto. Ovvio che lo avremmo voluto anche noi. Ovvio. Solo che è difficile dare lezioni ai comandanti e ai soldati di un Paese che aveva subito lo squarcio dell'11 settembre 2001. Dieci anni e sembra passato un secolo, a giudicare dal fatto che la memoria di molti s'è come appannata. Tutti gli uomini meritano pietà e regole e garanzie, e tanto più da parte di una democrazia che si vuole eticamente più alta dei suoi avversari mortali. Solo che di tutti gli uomini del mondo, Osama bin Laden era quello che di pietà ne meritava meno di tutti. O avete dimenticato le immagini dell'11 settembre?  Avete dimenticato quei puntini neri sullo schermo del televisore che precipitavano dai piani alti delle Torri e che acquistavano velocità nel cadere sino allo schianto finale, e io a tutta prima non mi ero accorto che fossero uomini e donne che per sfuggire alle fiamme si erano appesi ai davanzali della finestra e poi erano andati giù? Avete dimenticato il suono del “My god!” pronunciato al telefono da una hostess che era sopravvissuta agli sgozzamenti e che ha avuto il tempo di vedere che il loro aereo stava per piombare sulla Torre? Avete dimenticato che sui due aerei dirottati contro le Torri c'erano anche dei bambini e che qualcuno di loro ebbe il tempo di vedere l'alta muraglia contro la quale sarebbe finita la sua brevissima vita? Avete dimenticato quel paio di centinaia di pompieri che accorsero a fare il loro lavoro, uomini che amavano la vita e non la morte e che per questo montarono sulle scale e finché tutto attorno a loro non si dissolse e andò giù? Avete dimenticato le vittime annesse e connesse, a cominciare da quel giovane giornalista americano che amava il jazz, Daniel Pearl, e cui fecero dire innanzi alla camera da presa “Io sono un ebreo” prima di sgozzarlo? Perché se tutto questo si è appannato nella vostra memoria e immaginazione, allora ogni parola e moto di pietà in morte del killer perde valore. Una guerra è orribile, ma resta il fatto che questa Terza Guerra mondiale strisciante l'abbiano dichiarata loro, gli uomini con il turbante e la barba lunga.Quale guerra non è orribile. Alla Liberazione del 25 aprile 1945 non ci si arrivò a forza di cerimoniali eleganti ma a forza di ferocia inaudita. I bombardamenti alleati sulle città tedesche distinguevano niente  di niente tra obiettivi militari e civili. Il pittore americano James Rosenquist nella sua autobiografia racconta di un suo amico tedesco (nella New York dei Sessanta) che veniva da Amburgo, la città dove l'intero palazzone in cui viveva la sua famiglia venne cancellato dalle bombe: qualcosa come seicento morti tutti in un colpo. Nell'entrare in quella Germania da cui erano stati attaccati, i sovietici fecero strame della popolazione civile: qualcuno arriva a contare due milioni di morti. E anche se non ne parliamo mai, i bombardamenti alleati furono ossessivi sulle città italiane e dalla memoria di quei bombardamenti nacque il contenzioso legale tra Giovannino Guareschi e Alcide De Gasperi. Eccetera eccetera. Dico tutto questo per cercare di capire, e perché io vorrei a tutti i costi la pace tra gli uomini. E perché neanche a me piace quella scarica di mitra in camera da letto. Purtroppo. di Giampiero Mughini

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