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D'Alema: "Meglio portarlo in aula che ucciderlo"

Belpietro intervista il presidente del copasir: "Una vittoria per nostra civiltà processare Bin Laden. Libia, brutta situazione"

Andrea Tempestini
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Dopo l'uccisione di Osama Bin Laden cresce l'allarme terrorismo nei Paesi occidentali. Qual è il livello dell'emergenza? Il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, ne discute con Massimo D'Alema, presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Il colloquio è andato in onda ne La Telefonata di Mattino 5. Qual è secondo lei in questo momento il rischio, davvero, per l'Italia? Io non credo che esista un rischio particolare per l'Italia. C'è un rischio per tutto il mondo Occidentale. In questi momenti devono essere prese tutte le misure necessarie per prevenire questi rischi. Il governo sta prendendo le sue decisioni. Le verificheremo in sede parlamentare. Lei pensa che al di là dell'aspetto emotivo, con l'uccisione di Bin Laden cambi davvero lo scenario? Sicuramente l'operazione rappresenta un colpo duro al terrorismo. Io condivido il sentimendo della Chiesa che dice non si gioisce per la morte di un uomo. Se Osama fosse stato catturato e processato sarebbe stata per la nostra civiltà una vittoria ancor più significativa. Comunque non c'è dubbio: il terrorismo ha avuto un colpo. La battaglia non è finita, ma si è dimostrato che non sono invincibili. Lei dice non si gioisce. E' stato un errore quindi ucciderlo? C'era la possibilità di interrogarlo? Questo non lo so. Dico che in linea di principio se fosse stato possibile processare Bin Laden sarebbe stata una grande vittoria della civiltà. Ma questo è solo il mio punto di vista: non sappiamo in che condizioni si è svolta l'operazione. Cambierà qualcosa per la nostra operazioni in Afghanistan? Tratteremo con i talebani, ora che sono più deboli senza il loro simbolo? La situazione in Afghanistan è molto complessa. I talebani non sono Al Qaeda. Da tempo si prova a trattare con una parte di quelli che combattono contro il governo di Karzai. La pace si fa con i nemici, ma non è un'operazione semplice. Io credo che in questo momento si potrebbe provare a raddoppiare gli sforzi in questa direzione. E' chiaro che da questo punto di vista l'uccisione di Bin Laden accelera i tentativi di trovare una via d'uscita politica dal conflitto. Lei è stato anche ministro degli Esteri, conosce bene la situazione internazionale. Si era parlato del Pakistan, temendo un allontanamento dall'influeza occidentale. Cambia, la situazione, dopo il blitz? Si tratta di capire come e perché Bin Laden fosse ospitato in quella città, una città militare del Pakistan, in che misure una parte degli apparati pakistani ne fossero informati. Il Pakistan è un Paese molto complicato: la classe politica, non c'è dubbio, è contro il terrorismo islamico. Ma gli apparati militari e di sicurezza sono stati profondamente penetrati dall'islamismo. E' un Paese nel quale c'è una battaglia politica e culturale per limitare l'influenza dell'islamismo, e la battaglia rimane aperta anche dopo l'uccisione di Bin Laden. Non c'è solo il caso Afghanistan con Bin Laden. C'è anche la Libia. C'è da preoccuparsi per le minacce di Gheddafi? La situazione della Libia è preoccupante: non si vede una via d'uscita da questo conflitto. Io penso che l'intervento militare fosse necessario. L'alternativa era assistere al massacro di migliaia di oppositori che si battevano per la democrazia. Ma è chiaro che con gli attacchi aerei non si risolve il conflitto. Sinceramente non è ben chiaro quale sia la strategia politica della coalizione che in questo momento opera. Questo è un tema sul quale siamo prigionieri di beghe di casa nostra, abbastanza rattristanti. Se non fossimo in questa situazione dovremmo riflettere seriamente su cosa fare sul piano politico. In tutto ciò non vedo la politica, e mi preoccupa. Lei pensa che sia necessario un intervento di terra? Innanzitutto non si può fare: è escluso dalla risoluzione delle Nazioni Unite. Il problema vero è accompagnare l'azione militare con un'azione politica. Le faccio un esempio. Per abbattere Gheddafi è fondamentale isolarlo, e in questo momento non è isolato. Ci sono Paesi confinanti della Libia attraverso i quali gli arrivano aiuti, sostegni. Uno per tutti: la benzina, senza la quale i carri armati non potrebbero andare. Io non vedo un'azione politica forte che affianchi le azioni militari. Il rischio è quello di un conflitto prolungato e dalle conseguenze drammatiche. Cosa succederà nel voto parlamentare che ci sarà oggi o al massimo domani? Qui non si tratta più di Libia o terrorismo, ma di campagna elettorale. La Lega ha dovuto digerire una decisione che non condivideva. Ora deve far vedere ai suoi elettori che loro contanto. Quindi si impapocchierà un documento confuso per accontentare tutti. Speriamo che l'immagine iternazionale del nostro Paese, già caduta piuttosto in basso, non precipiti ulteriormente. Quando si partecipa a operazioni così complesse bisognerebbe cercare di comportarsi seriamente.

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